“Sosterrò Davide Faraone e la squadra che costruiremo insieme”. La decisione era nell’aria da un po’. Ma sorprende lo stesso. Fausto Raciti, dell’ex sottosegretario renziano non era certamente stato, negli ultimi anni, né il più stretto alleato, né il più convinto degli sponsor. “Sì, ho criticato Davide molte volte, e molte volte lui ha criticato me, divisi apertamente da un giudizio sui rapporti tra Pd e governo Crocetta. Sempre con rispetto. Ma adesso bisogna parlare di politica. Il mio partito ha bisogno di mettersi in moto”.
Intanto cambierà il segretario. Qual è il sentimento maggiore per lei che lascia questo ruolo?
“La speranza. Nonostante stiamo passando un momento difficile, non cadrò nel pessimismo. Il Pd ha un compito, dovrà concentrarsi su questo”.
Quale compito?
“Rimettere in moto l’opposizione, sia a Roma che in Sicilia”.
Che anni sono stati quelli in cui lei ha ricoperto il ruolo di segretario in un partito spesso litigioso, contraddittorio e impegnato nel sostegno a un governo come quello di Crocetta?
“Sono stati anni durissimi perché il Pd era una minoranza elettorale che aveva però una responsabilità di governo in Sicilia. Siamo stati schiacciati dai cambiamenti che nell’Isola sono spesso repentini: da un lato la ritrovata unità del centrodestra, dall’altro l’emergere fortissimo del Movimento cinque stelle”.
E così, il Pd è diventato politicamente marginale. Al di là della crescita degli altri partiti, lei non credo che a questa marginalità il partito si giunto anche per motivi, diciamo, interni. Insomma, il Pd crede che non abbia colpe, nulla da rimproverarsi?
“Gli errori ci sono stati, ci mancherebbe, ma essere opposizione non significa essere per forza marginali. Spesso non sono però gli errori che si usa attribuire al Pd. Ad esempio, a Roma non credo che il vero problema fosse la personalità di Renzi, semmai la coesistenza di due linee del partito che la pensavano diversamente su tante cose: dal rapporto con l’Unione europea a quello con le opposizioni. Ed oggi mi viene da ridere a guardare i renzianissimi di allora fare gli antirenziani di convenienza. Glielo dice uno che Renzi l’ha votato segretario e tenendosi sempre la sua autonomia”.
Questo a Roma. Ma in Sicilia? Da esponenti del Pd ne abbiamo sentite un po’ di tutti i colori in questi anni. E spesso si aveva l’impressione che ci fossero più partiti nel partito.
“Ammetto che guidare un partito del genere è stato difficilissimo. Ma va anche riconosciuto il fatto che alcuni risultati, anche solo nell’ottica di dare stabilità al governo regionale, li abbiamo raggiunti, per quanto inferiori alle necessità della Sicilia”.
A dire il vero, quel governo ha cambiato più di 50 assessori
“Vero. Il mio obiettivo era quello di stabilizzare i rapporti con la giunta di Crocetta ma ogni giorno in cui le regionali si avvicinavano era sempre più difficile”.
Non senza difficoltà, appunto. Secondo lei quali errori sono stati commessi in questi anni, visto che gli elettori alle ultime elezioni non hanno certamente premiato il Pd? E lei, di errori ne ha fatti?
“Credo che in quegli anni siano stati fatti sostanzialmente due errori. Uno è tutto mio: credo di avere ecceduto nella disponibilità a farmi carico dei problemi di un mondo, il mio mondo di provenienza, che non aveva intenzione di lavorare a un vero rinnovamento, molto sulla difensiva”.
L’altro errore?
“Penso sia legato al fatto che Davide Faraone fosse politicamente molto rilevante in Sicilia nonostante questo potere non fosse mai esercitato direttamente ma sempre attraverso altri”.
Adesso, lei correrà proprio con Faraone però. Lo stesso che ha aperto le porte del partito, solo negli ultimi mesi, a diversi esponenti che arrivavano da altrove: da Dore Misuraca a Leoluca Orlando, tanto criticato fino al giorno prima, solo per fare gli ultimi nomi. Crede che anche queste scelte non abbiano inciso sul calo del Pd?
“Il problema non è che abbiano aderito, ma che questo sia avvenuto senza una discussione sulla linea politica. Nessuno aveva più realmente le leve del comando all’interno del partito”.
E Crocetta? Ha mai pensato di spingere il partito verso una “rottura” col governatore? Di tirare fuori il Pd da questa esperienza di governo così caotica e ricca di contraddizioni?
“Io sono ancora convinto che la scelta più giusta fosse quella di evitare la crisi col Presidente. E ne ero convinto anche quando i rapporti con Crocetta erano molto difficili. Del resto, credo che far cadere Crocetta fosse anche una strada non praticabile. Serviva una svolta, questo sì, ma non ci siamo riusciti davvero”.
Adesso, con Faraone e lei, che partito potrebbe nascere in Sicilia?
“Penso a un Pd che guardi anche fuori dal Pd. Che sia capace di rianimare l’opposizione e che parta dalle tante esperienze civiche che si sono affermate in tante realtà locali. Penso a un partito che si assuma il tema di rinnovare profondamente se stesso, un Pd che superi l’idea che il consenso sia il frutto di semplici accordi o alleanze tra liste politiche”.
Lei è convinto che sia Faraone la persona giusta per far nascere il partito che lei sogna? Per anni lo ha criticato anche per aver favorito innesti che rischiavano di cambiare l’identikit del partito, o ne ha malvolentieri sopportato le influenze in Sicilia…
“Vero. Faraone ha spesso, molto spesso, criticato il sottoscritto. Ma la politica non si fonda sul giudizio rivolto alla persona, ma sulla valutazione delle cose che uniscono o dividono. Quella che io faccio è una scelta che nulla ha a che vedere col congresso nazionale, dove quasi certamente io e Faraone voteremo per candidati diversi. È un fatto che riguarda la Sicilia”.
Perché Faraone e non Teresa Piccione che riceverà l’appoggio anche di pezzi del Pd che erano apparsi, nel passato, più vicini a lei, più in sintonia con le sue scelte politiche?
“Io per Teresa ho il massimo del rispetto e della stima. Ma credo che la sua candidatura poggi su un’idea che non condivido: quella secondo la quale il Pd debba ripartire sostanzialmente da un tempo d’oro che non c’è mai stato e dal gruppo dirigente di prima. Insomma da una parte di quelli che ci sono già”.
La convince di più invece un partito che possa aprire persino a pezzi di centrodestra? Un partito modello Leopolda nel quale il Pd dialoghi con esponenti di spicco di quel mondo, come Gianfranco Micciché?
“Oggi gli uomini di Forza Italia sono esponenti della maggioranza di governo alla Regione. Noi invece stiamo all’opposizione. Al momento non vedo come possa cambiare questo stato di cose. E a dire il vero, non credo che Faraone voglia Micciché nello stesso Pd, né che Miccichè sarebbe mai disponibile ad una cosa così. Ma cosa pensa Faraone va chiesto a Faraone, io dico solo che mi sta chiedendo di un tema che non c’è”.
Ne è sicuro?
“Ogni tanto capita che si parli, tra noi del Pd”
Qualche volta capita anche che non vi parliate affatto.
“Vero. Ma non è questo il caso. Se Forza Italia attraverserà una crisi che porta a qualcosa di diverso, come leggo da qualche parte, è una questione che riguarda loro. Oggi sono in maggioranza in Regione e alleati della Lega”.
Alla fine, in fondo, si tratterebbe solo dell’ultima contraddizione del Pd. Solo negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito a esponenti Dem attaccare ferocemente Orlando prima di sostenerlo al Comune, big del Pd ‘chiudere’ l’esperienza Crocetta prima di andare nella giunta di Crocetta a fare l’assessore, politici di livello nazionale definire una pazzia il sostegno al governatore negli stessi giorni in cui quattro o cinque assessori vicini a quei politici stavano nella stessa giunta… Cosa devono aspettarsi ancora gli elettori del Pd insomma?
“In effetti nel Partito democratico la dinamica dei rapporti è sempre stata piuttosto caotica. Proprio per questo motivo oggi nessuno all’interno del Pd ha titoli per salire sul piedistallo. La mia scelta di sostenere Faraone e costruire insieme una squadra nasce da un tema generazionale: un pezzo del partito, composto da giovani dirigenti in questi anni è rimasto intrappolato, stritolato da un lato da un mondo della sinistra che non ha saputo rinnovarsi, dall’altro da un pezzo del partito che ha visto il rinnovamento come un tentativo di cercare qualcosa al di fuori della storia stessa del Pd”.
Quindi lei e Faraone, alla fine, vi siete incontrati sul tema dell’anagrafe…
“Diciamo che se il tema è quello di aprire e rinnovare il Pd, io sono per questa scelta, per questa idea. Aggiungerei che ritengo un fatto degno di nota che Faraone si assuma una responsabilità diretta nel Pd in Sicilia uscendo dalla logica di chi sta più in alto”.
E dall’altra parte non vede questa voglia di rinnovamento?
“Sinceramente no. Vedo semmai una alleanza tra ciò che c’è o tra ciò che c’era. Limitarci all’assetto interno o giocare una partita nuova, questo mi pare il tema”.
Siamo al 16 dicembre. C’è un nuovo segretario del Pd. Quale, tra le cose che lei ha fatto in questi anni, gli consiglierebbe di replicare, di prendere a modello?
“Gli consiglierei di lavorare con assoluto disinteresse personale, perché altrimenti perdi la testa per l’ambizione e sbatti. Non ho mai lucrato sulle battaglie politiche di questi anni. Spero che chi verrà faccia lo stesso”.
Lo metta in guardia allora. Gli dia un altro consiglio: “Non faccia come Raciti…”. Quale dei suoi errori non dovrà commettere il nuovo segretario?
“Direi quello al quale avevo accennato prima. Credo di avere ecceduto nella mediazione, mentre in realtà stavamo nascondendo la polvere sotto il tappeto. Ma è stata una grande esperienza, forse perché non era minimamente tra le cose che mi sarei aspettato di fare”.