Storie di chi ha sfidato la mafia: | “Se alzi la testa, te la tagliamo”

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18 Agosto 2018, 15:51

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CATANIA. C’è chi ci prova ad uscire dal cono d’ombra. Ad alzare la testa per protrarsi verso quel fascio di luce che porta alla speranza. Ed al riscatto.
Storie di chi ha capito a sue spese e in mezzo a mille restrizioni cosa significhi dire un “no” secco al pizzo. Sbattere la porta in faccia alle estorsioni ed alle imposizioni. Il costo è salato: e non certo (solo) in termini economici.
Quella dell’imprenditore Mario Cavallaro è una “delle storie” che va in quella direzione. E, appunto, ribellarsi a chi della parola mafia vorrebbe farne il più meschino dei marketing d’esportazione è tutt’altro che semplice. Si tratta di mettere in discussione la propria esistenza e quella quotidiana dei propri cari.
L’ultima intimidazione ai danni della sua azienda Mario Cavallaro l’ha subita nemmeno un mese fa: una infrazione all’interno degli uffici e la foto del padre in cornice scaraventata a terra e infranta con i piedi.

“Ripensando agli ultimi tredici anni della mia vita – spiega – passati sotto la pressione costante della criminalità organizzata, mi vengono in mente decine e decine di episodi che non auguro a nessuno. Violenze, minacce, paura, sconforto e umiliazioni, tante umiliazioni; subite purtroppo anche dai miei cari, ma ciò che non riesco a capire è, cosa ho fatto, cosa ho fatto di così grave per meritare tutto questo? Non sono un magistrato, né un’agente delle forze dell’ordine, né tantomeno un eroe; sono un normale cittadino che ha fatto la cosa più normale e ovvia che si possa fare. Ho subito un torto e mi sono rivolto all’autorità competenti. In questa terra così bella, ma così devastata dal malaffare criminale, tutto ciò è inaccettabile”.

Già. Non c’è da elevare nessuno ad eroe, vero. Ma c’è da raccontare quelli che sono episodi giornalieri che appaiono distanti ma che affogano l’economia stessa della nostra terra. “Tu ancora non hai capito un cazzo di come funzionano le cose qui. Se ti stai buono buono, e non fai lo sbirro, di buschi un pezzo un pezzo di pane, ma se provi ad alzare la testa, te la tagliamo”: sentirsi dire frasi del genere, com’è accaduto nel caso dell’imprenditore belpassese, probabilmente ti cambia definitivamente dentro. O ti adegui o reagisci”. Eccolo il tenore delle intimidazioni.

“Dopo avermi pestato a sangue, mi costrinsero a cedere le mie quote aziendali. Il compenso per tale cessione fu di euro zero (cosa che ovviamente denunciai nei giorni seguenti ai carabinieri). Per espletare le pratiche e firmare i documenti, mi portarono in un noto studio legale di Catania. In quella condizione di profonda umiliazione e di comprensibile frustrazione ebbi a dirgli: “mi state distruggendo la vita, ma sappiate che le denunce non le potete fermare”, la loro risposta fu agghiacciante “accuntenti do brudu, ca a canni costa assai”.

In questi lunghi 13 anni, Mario Cavallaro ha denunciato tutto. Ogni minaccia. Ogni fatto. Ha spedito a processo i suoi aguzzini. Decidendo di non nascondersi.
“Durante questa mia tremenda esperienza, mi è capitato di ascoltare, e di provare ad aiutare colleghi che vivono il mio stesso dramma “e se poi denuncio cosa mi succede? Lo Stato mi aiuterà? I miei figli, mia moglie, i miei genitori, cosa ne sarà di loro?”. Io dico loro, non siamo più negli anni ottanta, le forze dell’ordine sono preparate ad aiutarti, la Procura della Repubblica (almeno quella di Catania) dispone di magistrati preparati e affidabili, ci sono le associazioni anti-racket, ti accompagno io dai carabinieri. 
Vorrei dire loro pubblicamente, io godo della protezione dello Stato Italiano, non pago nessun pizzo e non voglio nessun “amico bonu”. I miei amici buoni sono i carabinieri di Paternò, che non ringrazierò mai abbastanza per avermi salvato la vita che mi proteggono, mi sostengono anche moralmente, e quando andiamo al bar assieme non mi lasciano pagare neanche il caffè. Ricordiamoci degli “Uomini” coraggiosi e valorosi, eroi che hanno dato la vita per la nostra libertà: Non si riesce neanche a fare l’elenco, tanto sono numerosi, partecipiamo alle loro commemorazioni ci ricordiamo di loro il “23 maggio”, assistiamo alla sfilata di uomini che non si capisce perché siano lì (non hanno mai mosso un dito contro “cosa nostra”), pronunciano sermoni privi di senso e pieni retorica. Noi li ascoltiamo distratti, come fosse una cosa che non ci riguarda, dimenticando che siamo in forte debito con i nostri eroi, gli dobbiamo moltissimo. Libero Grassi, con il suo No, ha aperto le strade a chi vuol fare impresa liberamente in questa terra. Pensate che continuando a pagare il pizzo gli rendiamo onore? Che ci possiamo liberare da questa odiosa oppressione nascondendo la testa sotto la sabbia?”.

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18 Agosto 2018, 15:51

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