PALERMO– La notte è fredda per chi c’è dentro. Dove adesso c’è l’ombra, dove Floriana sta posando un fiore bianco, c’era una persona. Lo chiamavano ‘Carmelo’: era uno dei clochard di San Lorenzo, è stato trovato morto su una panchina in piazza, qualche giorno fa.
Il gruppetto dei volontari di Sant’Egidio sosta qualche minuto in preghiera, prima di ripartire. Lunedì la comunità entra in azione con i suoi equipaggi minuti, in omaggio a una lunga esperienza di solidarietà. C’è anche un numero di telefono, 0915641023, per aiutare, suggerire e scendere in campo contro la marea della povertà che sale. Appuntamento al ritrovo di via Borrelli con i sacchetti del cibo. Si comincia da qui. Qualcuno si dirige verso la stazione, altri in punti diversi della città, Renzo, Floriana e Piero hanno una zona da coprire, come tutti.
Via Libertà. L’uomo col berretto che dorme sotto le stelle è tifosissimo del Palermo. La sconfitta interna con la Salernitana non gli è piaciuta, ovviamente, ma non l’ha spezzato. E’ taciturno, gli anni in strada, con qualunque tempo, lo hanno reso guardingo. I volontari che lo accudiscono sanno soltanto che ama i bagni a mare, d’estate.
Si compulsa il telefonino di Renzo che è juventino per sapere come va la partita dei bianconeri con il Chievo. “Il mio legame col calcio è complicato – spiega lui con un sorriso – mi tocca uscire sempre quando si gioca”.
I ragazzi di Sant’Egidio erano in strada pure durante i Mondiali del 2006, c’era Italia-Ghana in tv. “Ci siamo accorti del raddoppio di Iaquinta dal boato che letteralmente cadeva dai balconi”. E chissà se, in precedenza, c’era stata l’occasione di inerpicarsi su una grondaia per sapere chi aveva fatto palo.
Si chiacchiera in via Libertà. Ancora non è il momento di sdraiarsi su un’aiuola per riposare. I prossimi appuntamenti dei rosanero incoraggiano. “Ci andiamo in serie A?”. “Ma sì, ma sì, ci andiamo…”. Gli occhi dell’uomo col berretto, per quanto in difesa, recano una traccia del bambino che era, che non aveva timore della notte e degli strani viandanti che la percorrono. Un saluto e si ricomincia.
“Signora vorrei che questo istante d’infinito non si fermasse mai…”. Il ragazzo che ha trovato riparo nel cortile esterno di una chiesa è un patito di Gianni Nazzaro. “Peccato – dice – che è invecchiato”. E ha una bella voce, calda. La voce di uno che sa cantare sotto la doccia, solo che la doccia non ce l’ha. Ha però l’allegria di un naufrago con la sua arte d’arrangiarsi. Sono in tre, nel cortile della chiesa. La gente che ha pregato tra le navate esce e non li guarda, non li scorge tra coperte e Pater noster. Non sono invisibili, sono proprio dissolti.
Il ragazzo canta e scherza: “Di nuovo pasta col tonno? Quand’è che mi portate l’aragosta?”. Uno dei tre un posto in cui stare ce l’avrebbe, ma preferisce accomodarsi qui, per tenere compagnia, perché la solitudine è la vera tempesta. C’è chi si industria come posteggiatore, c’è chi sopravvive alla meno peggio. La promessa ironica e affettuosa dell’aragosta sancisce il congedo.
San Lorenzo, nella zona di Carmelo che – così raccontano – stazionava, per ore intere in quella piazza, dopo un malessere e un ricovero che l’avevano impaurito, per sentirsi più vicino a Villa Sofia. La sua prudenza non l’ha salvato. Erano diventati amici con Floriana. Dicono che avesse moglie e figli, in Marocco, e un lavoro a Palermo. Ma si era fatto male, per questo non lavorava più. E voleva tornare a casa. Floriana racconta. “Era gentile, ripeteva sempre: grazie, Dio vi benedica, Dio vi benedica…”.
In via Resuttana, ecco l’angolo di Carmelo, la sua residenza notturna abituale, un minuscolo spazio spoglio. Dicono che una rosticceria nei pressi lo aiutasse con il cibo e che altri se ne prendessero cura, di tanto in tanto. La notte nutre la solidarietà, mentre la nasconde. Intanto, i giorni divampano di aggettivi feroci.
E’ sempre colpa di qualcun altro quando muore qualcuno sotto le stelle. Colpa del sindaco, del presidente della Regione, del presidente del Consiglio, secondo prospettiva della tifoseria politica d’appartenenza. Mai che sia colpa dell’indifferenza di troppi.
Alla stazione Notarbartolo, c’è un uomo di mezza età che chiede i soldi per il biglietto. Ha tutto – spiega – gli manca solamente il tagliando per tornarsene a Napoli dove dice di avere la macchina e qualche possibilità. I volontari di Sant’Egidio si consultano. La Juve vince tre a zero col Chievo. La signora che parla con il cronista ha la sua storia da raccontare. Si capisce che cerca una soluzione e, nel frattempo, orecchie che la ascoltino come quelle di Cettina, volontaria di lungo corso.
E’ un racconto nitido e accelerato, di soprusi subiti, forse da bambina, di sogni intorno a un’occupazione che non c’è. E una invocazione: “Speriamo che si spicciano con ‘sto reddito di cittadinanza, non ne possiamo più”.
La signora della stazione ha i suoi angeli e una baracca senza il tetto. Con le mani tratteggia come lo vorrebbe. I gesti e le occhiate si susseguono, come se un tetto potesse nascere davvero dal desiderio di averlo, sotto le stelle. Il ragazzo che vive fuori, nella notte, ha sistemato la moglie da parenti. Avrebbe qualcosa da parte per affittare una casetta, ma non ha pezze d’appoggio e dorme sul marciapiede.
Saluti, strette di mani e abbracci. Renzo sospira: “Oggi è andata bene, non abbiamo incontrato tragedie”. Piero e Floriana vanno via con tutta la loro generosità. Carne da propaganda. Carne da cannone. Carne da miseria. Ecco chi sono i poveri. Ombre negli angoli e ombre che pattugliano i confini residui d’umanità. Perché di notte, a Palermo, fa freddo.