CATANIA – Tutti condannati in primo grado gli imputati accusati, a vario titolo, di tentata estorsione in concorso e usura ai danni di Salvatore Fiore, imprenditore edile impegnato, all’epoca dei fatti, nei lavori di costruzione del Bingo di piazza Alcalà a Catania. La pena più alta è stata inflitta al pluripregiudicato ripostese Mario Di Bella, accusato di entrambi i capi di imputazione, condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione. Sono 5 gli anni di condanna, invece, per Leonardo Parisi, ritenuto elemento di spicco del clan Laudani a Giarre e recentemente condannato a 8 anni ed 8 mesi nell’ambito del processo scaturito dalla maxi operazione denominata “I Vicerè”. Parisi era accusato solo di tentata estorsione. Condanna a 4 anni e 6 mesi per Luciano Messina, accusato sia di tentata estorsione che di usura. L’ex consulente finanziario acese è già stato condannato in via definitiva nel 2015 per estorsione ai danni di un altro imprenditore. Infine, condannato a 3 anni anche Giuseppe Tropea, ex assessore ripostese, imputato per usura. Questa la sentenza pronunciata dal presidente della terza sezione penale del tribunale di Catania, Elena Maria Teresa Calamita.
L’INCHIESTA. E’ il marzo del 2011 quando i finanzieri della Compagnia di Riposto arrestano per usura Mario Di Bella e Luciano Messina. Appresa la notizia, l’imprenditore edile Salvatore Fiore trova il coraggio di presentarsi alla Questura di Catania e di denunciare di essere anch’egli vittima di usura da parte degli stessi uomini. Non solo. L’uomo racconta di aver subito anche un tentativo di estorsione, pari a 40mila euro, mentre la propria impresa era impegnata nei lavori di realizzazione del Bingo di piazza Alcalà a Catania. L’imprenditore, subito dopo aver subito la richiesta estorsiva, racconta l’episodio a Luciano Messina, conosciuto qualche mese prima tramite il direttore della Banca Nuova di Catania, Giuseppe Miduri, anch’egli condannato in un altro processo per usura. Messina lo tranquillizza, consigliandogli di non denunciare alle forze dell’ordine.
Pochi giorni dopo l’allora consulente finanziario organizza un appuntamento con Mario Di Bella e Leonardo Parisi. Questi ultimi gli assicurano di aver risolto definitivamente il problema ed in un primo momento non avanzano alcuna richiesta di denaro. Poche settimane dopo però iniziano le pressioni. I due chiedono 1500 euro per il precedente interessamento ed ulteriori 1000 euro al mese per assicurare la protezione della ditta in tutti i cantieri aperti. L’imprenditore prende tempo, sostenendo di non essere in condizioni di pagare. Ma nell’aprile del 2008 Salvatore Fiore, strozzato dai debiti e già sotto usura da parte di altri soggetti, si rivolge a Luciano Messina per ottenere un prestito di 10mila euro. Quest’ultimo ancora una volta lo indirizza a Di Bella. All’appuntamento, questa volta fissato al porto di Riposto, la vittima conosce un altro degli imputati, Giuseppe Tropea. Di Bella e Tropea, racconta ancora la vittima, gli concedono un prestito di 5000 euro, consegnandogli 2500 euro ciascuno in contanti. In cambio però avrebbero preteso due assegni da 5000 euro. Il primo per la copertura della somma capitale ed il secondo per gli interessi, pari al 20% mensili.