CATANIA – Secondo l’accusa, avrebbe sparato a una gamba a un commerciante, per costringerlo a restituirgli dei soldi. Ora la Corte d’appello ha confermato le lesioni e il porto d’armi abusivo. Cade l’accusa di usura.
L’ipotesi di tentata estorsione è stata invece derubricata in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non punibile per difetto di querela. Scende così in appello da sei anni e tre mesi a 3 anni e 2 mesi la pena a cui è stato condannato Giuseppe Di Mauro.
La riduzione in appello
Settantacinquenne catanese, difeso dall’avvocato Vito Di Stefano, era accusato di aver prestato una somma di 13 mila euro a un commerciante nel 2018 e di aver preteso poi 1.300 euro al mese, “premio” salito a 2.500 euro al mese per il mancato pagamento di alcune rate.
Ma per i giudici della terza sezione penale della Corte, presieduta da Francesco Lentano, il reato di usura “non sussiste”. La tentata estorsione ipotizzata, in realtà, sarebbe stata la richiesta di un pagamento, illegale in quanto “arbitraria” ma perseguibile solo su denuncia della persona offesa.
Lo sparo in macchina
Per questo, pure tale ipotesi di reato è caduta. Ciò che è rimasto in piedi, tuttavia, è il resto. Con una pistola, in pratica, avrebbe sparato a un uomo ultrasessantacinquenne a una gamba.
La vittima è un commerciante di abbigliamento, che dopo il ferimento sarebbe riuscito a raggiungere autonomamente, il 5 aprile 2018, il pronto soccorso del Vittorio Emanuele. Qui gli fu diagnosticata una “frattura spiroide” del “terzo medio distale” del femore destro.
Il verdetto
Secondo l’accusa, Di Mauro gli aveva dato appuntamento per parlare dei soldi. Poi all’improvviso gli animi si sarebbero surriscaldati, tanto che l’imputato gli avrebbe sparato a una gamba. Fortunatamente il Vittorio Emanuele era lì a due passi.
La Corte d’appello si è riservata novanta giorni di tempo per depositare le motivazioni della sentenza, poi inizieranno a decorrere i termini per eventuali ulteriori ricorsi della difesa in Cassazione.