PALERMO– Trent’anni fa, nei giorni di Italia Novanta, gli occhi da profeta di Totò Schillaci ci entrarono dentro, per non uscire mai più. Trent’anni fa, giusto oggi, una delle Nazionali più belle e più scalognate di sempre – una squadra magnifica, guidata da un gentiluomo – riuscì a battere l’Inghilterra nella finale per il terzo posto. Si viaggiava sull’uno a uno, quando fu fischiato un sacrosanto rigore per l’Italia. Baggio prese il pallone e lo mise tra le mani di Schillaci: “Tira tu”. E Totò tirò, issandosi, con sei gol, sulla cima di capocannoniere.
Totò, ragazzo d’oro, non nel senso dei soldi, ma del cuore. Uno sempre legato alla sua gente. La dolce signora Vincenza che lo conosceva come compagno di rione parlava di un generoso, uno pronto all’aiuto, sovrapponendosi, con la sua, alla voce generale. Ma come sono diversi i fotogrammi della stessa partita.
Totò che gioca con un pallone sgarrupato sul campetto di cemento. Totò che diventa un calciatore professionista con il gol nel sangue. Totò che subentra in campo con l’Austria e lascia il primo di sei sigilli. Totò del Cep che batte Peter Shilton da Leicester e vince il titolo di miglior marcatore del Mondiale casalingo.
“Io sono arrivata qualche tempo dopo – racconta Antonietta Fazio, anima del centro ‘San Giovanni Apostolo’ -. Ho sentito dire molto bene di Totò Schillaci. Nel Novanta, dai racconti che ho ascoltato, il Cep dimenticò la sua fama di quartiere-ghetto e si identificò in un suo figlio come figura di riscatto. Un ragazzo che era cresciuto lì. Fu una vicinanza molto potente. Improvvisamente, non si scriveva della periferia soltanto per raccontare problemi e disagi”.
Immaginiamolo, adesso, trent’anni dopo, il pallone che si carica addosso le speranze di quelli che stanno all’ultimo posto, perché una città egoista vuole che sia così. E si trasforma in cocchio fatato da quasi esclusivi invitati alla festa.
“Lei mi chiede se i ragazzi di qui siano diversi da come era Totò? Credo di no. Hanno il pallone incollato al piede. Corrono, camminano, compiono ogni gesto con il pallone al piede. Non si stancano mai. Giocano ovunque, nel campetto della parrocchia, per strada… Il campetto ha le buche, ormai, ma non lo cambierebbero con un bel campo in erba. Ci sono affezionati”.
Antonietta e la battaglia giusta dell’impegno, in trincea: “Noi gestiamo un centro aggregativo. Offriamo supporto e sostegno scolastico, accompagniamo con le attività pomeridiane. Facciamo il possibile e anche l’impossibile”. Una storia palermitana come tante, come troppe, in cui buche e ostacoli vengono affrontati dall’abnegazione personale.
Trent’anni fa, c’erano i giornalisti accorsi per raccontare la favola del figlio di una Palermo Cenerentola che era stato incoronato senza mai perdere la scarpetta. E le persone, le brave e buone persone che qui abitano, avevano finalmente un simbolo, una bandiera, un sovrano che si sarebbe sempre avvicinato con affetto. Perché Totò è rimasto Totò, il ragazzo, pure lui buonissimo.
“Come vanno le cose qui? – sospira Antonietta – Fino al 2010 ho visto impegno ed evoluzione, poi gli interventi educativi si sono ridotti, adesso c’è il vuoto e si sistemano pezze. Combattiamo contro i mulini a vento. Abbiamo realizzato con ‘Sguardi Urbani’, grazie al progetto ‘Riconnessioni’, un album storico. C’è pure la riproduzione di un gol di Totò Schillaci”.
Dentro ci sono gli occhi di ognuno, visibili e invisibili. Gli occhi dell’uomo che era un ragazzo e che fu baciato dalla vita, in una estate di notti magiche. Non saranno mai dimenticati.