PALERMO – Riposi in pace Totò Schillaci, l’eroe che unì per un mese l’Italia sotto il segno del pallone ma che ne svelò l’ipocrisia che la attraversa. Ieri come oggi, che la retorica del lutto sovrasta il dolore e l’affetto sinceri.
Di errori ne avrà commessi nel suo cammino, come ogni altro essere umano. Ed è stato protagonista di intemperanze, alcune delle quali pubblicamente ammesse come la testata rifilata a Roberto Baggio (un episodio chiarito, tanto che sono diventati e rimasti amici). Come quando disse “ti faccio sparare” a un avversario che gli aveva sputato addosso.
Qualcos’altro ha pesato sulla sua vita, come un marchio di fabbrica riservato alle seconde scelte, nonostante avesse indossato le maglie delle due più importanti squadre italiane – Inter e Juventus -, nonostante fosse stato uno dei primi ambasciatori del calcio italiano moderno nel mondo.
Da molti deriso in vita, ha trovato riscatto nei gol. Il suo peccato originale è stata la sua povera estrazione sociale. Era un bersaglio facile per il suo lessico spontaneo.
Totò Schillaci del rione Cep, ragazzo del Centro di Espansione Periferica, con i suoi vizi e le sue virtù, ha capito che grazie alle sue doti pallonare un altro mondo era possibile. E se n’è infischiato di tutto ciò che gli urlavano contro. Da Nord a Sud.
Perché anche questo è accaduto. Che non ci fosse neppure del campanilismo meridionalista. Nel febbraio del ’90 al San Nicola di Bari – non tra le nebbie padane – il pubblico intonava il coro “Ruba le gomme, Schillaci ruba le gomme”.
Totò in maglia bianconera segnò su rigore ed esultò con il pugno verso la curva. Ne aveva le scatole piene di quella frase che sentiva ripetere negli stadi di mezza Italia. Colpa della notizia pubblicata da un quotidiano. Un suo familiare era stato fermato dalla polizia.
A bordo della sua auto sarebbero stati trovati degli pneumatici rubati. Il malsano passaparola fece il resto rendendogli la vita impossibile.
Poi arrivarono le notti magiche e l’ipocrisia di cui sopra. I gol di Schillaci univano l’Italia. O almeno così ci illudemmo. Schillaci il panettiere, il gommista (di mestiere lo aveva fatto davvero), il fruttivendolo, il ragazzo delle consegne divenne il bomber nazional popolare.
Nella Palermo del 1990 accadde qualcosa di unico e irripetibile. Si sviluppò un senso di appartenenza attorno alla figura di Schillaci che raramente si era visto prima. In lui si identificavano anche coloro che guardavano (e guardano) con distacco, disinteresse o scherno gli abitanti delle periferie. Era il simbolo del riscatto – ciascuno per un motivo diverso – di un’intera comunità.
L’Italia non vinse i mondiali per un soffio. Per un soffio – arrivò secondo – Totò non si aggiudicò il pallone d’oro assegnato al tedesco Lothar Matthaus. E tutto svanì. Nelle periferie non abitano più gli eroi del riscatto, ma pezzi di società a perdere.
Nella recente carriera di Schillaci sono arrivati i programmi televisivi. Nel 2021 fu tra i concorrenti di Back to School, programma in onda su Italia1, in cui mise alla prova la sua preparazione scolastica, rimettendosi a studiare.
Lo aveva fatto davvero nella vita per quella ostinata voglia di migliorarsi e probabilmente di scrollarsi di dosso il suo “peccato originale”. Che altri e non lui considerava tale, orgoglioso com’era delle sue origini. Non è un caso che alla fine sia morto a Palermo dove ha sempre deciso di tornare.
Qualcuno ha detto che per “il suo calcio che sapeva di passione e per lo spirito indomito” Totò Schillaci sarà “immortale”. Per i palermitani lo è già.