CATANIA – Trentadue anni senza Giuseppe Fava: il ricordo. Un capannello di persone sosta sotto la lapide dedicata al giornalista in rigoroso silenzio. E’ un silenzio commosso quello che accompagna il ricordo del giornalista assassinato dalla mafia trentadue anni fa. L’assenza del sorriso di Elena Fava lascia un vuoto incolmabile nelle donne e negli uomini che ogni anno si danno appuntamento sotto la targa che ricorda Giuseppe Fava. Una lettera, distribuita ai presenti dai volontari di Libera, ricorda Elena tratteggiandone “il sorriso malinconico e gentile, il modo signorile di stare sempre un passo indietro, la rabbia trattenuta di fronte alla smemoratezza di tanti”.
Ci si stringe attorno al dolore composto dei familiari. E’ Claudia, una delle figlie di Elena, a issare i fiori accanto alla targa mentre Resì Ciancio, vicepresidente della fondazione Fava, distribuisce margherite ai presenti. E’ lei a spezzare il silenzio. “Ho portato questi fiori per chiedervi di non lasciarci soli, che ognuno ci dia una mano perché ne abbiamo veramente bisogno e perché sono convinta che il lavoro fatto con grandissimo sforzo insieme a Elena va proseguito insieme a tutta la città”, dice. “Ci sentiamo tutti un po’ più soli e più orfani perché Elena in questi anni ha rappresentato nel modo più visibile, più appassionato, più generoso il dovere e la fatica della memoria ed è una cosa di cui tutti dobbiamo esserle grati”, spiega Claudio Fava ricordando la sorella. “Oggi è un appuntamento di particolare mestizia e allo stesso tempo un appuntamento che vuole rinnovare il sentimento della vita, della lotta e della battaglia”.
E il pensiero corre a uno dei principali insegnamenti del padre. “Tenere la schiena dritta è l’unica risorsa che ci distingue da chi vuole imbavagliare e ridurci al silenzio e all’obbedienza: un messaggio attuale e necessario”, dice il giornalista. “Dopo trentadue anni se c’è una generazione di giornalisti con la schiena dritta mi piace pensare che sia accaduto anche perché hanno conservato forte e saldo il ricordo di quelli come Giuseppe Fava”. Senza mai dimenticare il contesto di riferimento: la città di Catania e le sue contraddizioni. “E’ una città diversa da quella di Pippo Fava ma allo stesso tempo una città che le assomiglia. Forse l’unica città al mondo in cui se vogliamo declinare nomi e cognomi delle famiglie mafiose che comandano dobbiamo fare nomi e cognomi di quarant’anni fa: Ercolano, Santapaola. Come se qui, le dinamiche del potere, non soltanto mafioso, si siano fermate: questo è un debito con cui tutti dobbiamo fare i conti”.