PALERMO – La mano pesante dello Stato. E la gestione allegra dei governi regionali. Ecco perché la Sicilia è la Grecia d’Italia. Una Regione dalla burocrazia ipetrofica, dalla produttività scarsa, contraddistinta dal caos politico e da enormi problemi finanziari.
Una provocazione, ma nemmeno tanto, quella lanciata prima da alcuni quotidiani nazionali, poi ripresa, con toni assai duri, dall’economista Edward Luttwak: “L’Isola è inutile”. Parole forti, che hanno suscitato anche un prevedibilissimo sdegno. Ma al di là dei passaggi che che possono scuotere, legittimamente, la sensibilità di lavoratori e dei cittadini siciliani, siamo così certi che il professore americano di origini bagheresi abbia torto?
Una risposta può emergere dai numeri. E di cifre e dati ufficiali ne esistono di freschissimi. Appena “sfornati” dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, che hanno dipinto un quadro desolante, preoccupante. Una Sicilia dal profilo greco.
A cominciare dal capitolo “personale”. E qui in tanti storceranno il naso e avanzeranno le solite rimostranze: alla Sicilia sono demandate alcune funzioni che altrove sono svolte dallo Stato centrale. Una precisazioni che poggia, ovviamente, sulla realtà dell’autonomia siciliana. Ma che non sembra giustificare alcuni numeri. Quelli, ad esempio, sottolineati dal Procuratore generale d’appello della Corte dei conti Diana Calaciura, molto chiara quando ha sottolineato, in apertura della propria requisitoria, che nell’economia dell’Isola “le luci sono poche e fioche, mentre le ombre oscure e minacciose”. E subito dopo, ecco l’indicazione chiara del trend negativo: “La fase recessiva dell’economia siciliana non si è arrestata; anzi prosegue e prosegue in maniera maggiore non solo rispetto al resto d’Italia, ma anche rispetto al resto del Meridione”. È proprio da questo passaggio che emerge l’eccezionalità negativa della Sicilia. Il fatto di essere, per l’Italia, ciò che la Grecia è per l’Europa, appunto. Una regione che arranca non solo rispetto ai migliori, ma anche nei confronti alle Regioni più in ritardo.
E il quadro è chiaramente a tinte fosche: “I principali indicatori di ricchezza di un popolo – prosegue la Calaciura – esportazioni, industria, agricoltura, occupazione, presentano, in maggioranza un segno meno”. E tra questi è proprio il dato delle esportazioni (persino dei prodotti tipici siciliani) a rappresentare il segno più evidente della crisi: mentre nel resto d’Italia sono tornate a crescere, in Sicilia la diminuzione è addirittura a doppia cifra: l’11 per cento in meno. Un crollo. Che si rispecchia, prosegue nella propria relazione il magistrato contabile, nella disoccupazione e quindi nella povertà: i poveri in Sicilia sono il 42 per cento della popolazione. Quasi la metà. A fronte del 19 per cento del resto della penisola.
E non va meglio sul piano dei conti. Nell’ultimo esercizio sono diminuite bruscamente (più del 10 per cento) anche le entrate della Regione: due miliardi in meno rispetto all’esercizio finanziario precedente. Mentre, nonostante la sbandierata lotta agli sprechi del governo Crocetta, crescono anche le spese: di un miliardo e mezzo in un anno. Basterebbe questo, per parlare di una questione greca per la Sicilia. Ma questi numeri non sono nemmeno i più preoccupanti. Perché a rendere molto critica la situazione dell’Isola sono alcuni elementi che qualcuno definirebbe “strutturali”, descritti con qualche amara battuta dall’economista Luttwak.
E tra i fattori che maggiormente appesantiscono i conti della Sicilia c’è, ovviamente, quello che riguarda i dipendenti. Tanti, troppi, costosi. Un esercito infarcito di preziosi dirigenti come in nessun’altra parte d’Italia. I numeri presentati dalla Corte dei conti, quindi, finiscono per dare ragione a molte delle considerazioni dell’economista Luttwak. I numeri, dicevamo. Il personale di ruolo della Regione è composto da oltre 17.300 unità. A queste vanno aggiunte circa 2.600 persone indicate come dipendenti “ad altro titolo utilizzati” (in pratica si tratta di lavoratori ai quali la Regione ha esternalizzato i servizi). E ancora, a questi vanno aggiunti i circa ventimila Forestali stagionali, i 7.300 lavoratori delle società partecipate, i quasi 24 mila precari degli enti locali a carico del bilancio regionale. Oltre 75 mila persone a rappresentare una fetta consistente del settore pubblico. Sfiorano i centomila se si aggiungono i pensionati a carico della Regione. Un universo che “pesa” sulle casse regionali per oltre due miliardi di euro l’anno. “Ma la Sicilia svolge funzioni che altrove vengono svolte dallo Stato”, contesteranno i difensori strenui dell’autonomia. Una interpretazione, però, parzialmente smentita proprio dai magistrati contabili. “Anche al netto del personale forestale e di quello riconducibile al perimetro pubblico allargato, – ha detto il relatore del rendiconto delle Sezioni riunite della Corte, Licia Centro – la consistenza numerica dei dipendenti di ruolo della Regione nel 2014 rappresenta il 23,5 per cento dell’ammontare complessivo del personale di tutte le Regioni. Il numero dei dirigenti è, poi, il 36 per cento di tutti i dirigenti regionali in Italia, con un rapporto di 1 dirigente per ogni 9 dipendenti (a fronte di un rapporto di 1su 16 delle altre Regioni ordinarie e di 1 su 19 di quelle a statuto speciale). Si tratta di valori che, solo in parte, per via dell’autonomia differenziata, possono trovare giustificazione nelle attribuzioni alla Regione di funzioni altrimenti di competenza statale”. In Sicilia, insomma, c’è un quarto di tutti i dipendenti regionali d’Italia. E addirittura un terzo dei dirigenti della penisola. Solo in parte, quei numeri, sono giustificati dall’autonomia.
E di certo l’autonomia non giustifica l’incredibile indebitamento della Regione. Un trend preoccupante, che ha visto crescere, con una netta impennata durante i mesi del governo Crocetta, il debito di ciascun siciliano nei confronti soprattutto dello Stato. Entro il 2015 salirà a 7,9 miliardi. Quattro anni fa era sotto i cinque miliardi.
Mentre le perdite non si fermano. L’emorragia non si arresta. Anche, ovviamente, per cause che vanno oltre le responsabilità dell’attuale governo regionale: da un lato la pesante l’eredità lasciata dai vecchi esecutivi, dall’altro gli interventi dello Stato. Nel primo caso, preoccupa il ricorso, avviato molti anni fa, alla cosiddetta “finanza derivata”. Il Procuratore Calaciura ha sottolineato come, fino al 2007, la Regione ha ottenuto vantaggi dall’utilizzo di questo tipo di investimenti. Dal 2008, invece, è stata una perdita costante. Culminata proprio nell’ultimo esercizio finanziario in una perdita da 38 milioni di euro. E il futuro, in questo senso, non sembra roseo.
Una condizione di grande difficoltà aggravata, come detto, dall’intervento non sempre “leale” dello Stato centrale che da un lato non riconosce alla Sicilia alcune entrate previste dallo Statuto, dall’altro chiede all’Isola un enorme sacrificio per il concorso al risanamento della Finanza pubblica. Insomma, l’Isola è trattata dal governo centrale, un po’ come la Grecia dai più potenti Stati europei: E il giudizio della Corte dei conti nei confronti dello Stato in questo caso è molto chiaro: “Queste Sezioni riunite sottolineano – spiegano i giudici contabili – come, ancora una volta, in un momento di affanno finanziario per i conti della Regione siciliana, somme statutariamente spettanti non vengano erogate dai competenti organi statali. Sulle già ridotte risorse erariali, – si legge sul rendiconto – pesano in misura preponderante i tagli subiti per effetto delle pesanti manovre di finanza statale, che hanno determinato disponibilità assolutamente insufficienti a far fronte agli oneri di spesa incomprimibili; né il sistema economico dell’Isola offre segnali di ripresa della produzione e dei consumi, timidamente registrati in ambito nazionale”. La mano pesante dello Stato, le leggerezze dei politici siciliani. E la Sicilia, così, ogni giorno che passa somiglia sempre un po’ di più alla Grecia.