CATANIA – Uno dei personaggi più importanti di Cosa nostra dietro cui si nascondono ancora tanti misteri della storia dell’Italia repubblicana e della trattativa Stato-mafia. Non può essere definito un pentito nonostante questo Luigi Ilardo è stato uno dei confidenti che ha deciso di percorrere, pagando con la vita, la strada più difficile per un boss, quella di fare l’infiltrato dentro la sua stessa organizzazione. Ilardo con le sue dichiarazioni ha svelato i segreti dei rapporti tra mafia e politica oltre a risalire, ed è questo l’aspetto eclatante, alla latitanza infinita di Bernardo Provenzano: abitudini, pizzini fino alla soffiata più importante, quella del 31 ottobre 1995 quando riuscì a incontrare da “infiltrato” a Mezzojuso il “ragioniere” di Cosa nostra. La “primula rossa”, latitante dal 1963, ricercato numero uno d’Italia, successore di Totò Riina era ad un passo dall’arresto. Qualcosa però non consentì di catturare il tassello mancante del puzzle di Cosa nostra. “Binnu” venne infatti arrestato in una masseria a pochi chilometri da Corleone soltanto l’11 aprile 2006.
Una svolta, nella tortuosa strada di contrasto a Cosa nostra, che poteva essere imboccata con un decennio d’anticipo . Ilardo morirà, senza riuscire a diventare ufficialmente collaboratore, nella sua Catania il 10 maggio 1996, ad otto giorno da un incontro avuto a Roma con i magistrati Tinebra, Caselli e Principato. Le sue confidenze vennero raccolte dal colonnello Michele Riccio su mandato di Gianni De Gennaro, allora capo della DIA. Dalle denunce del colonnello è scaturito il processo sulla mancata cattura di Provenzano nei confronti del generale del Ros Mori e del colonnello Mauro Obinu. Per gli uomini in divisa è stata recentemente richiesta dal pm Nino Di Matteo la condanna rispettivamente a 9 anni e 6 anni e 6 mesi.
Ilardo, nasce nel 1951 nel quartiere catanese di “Picanello”, negli anni dell’egemonia delle famiglie mafiose dei Calderone e dei Ferrera. Nipote di Francesco “Piddu” Madonia. A partire dal 1975, all’età di ventiquattro anni diventa il suo autista. Per alcuni mesi ospitò nella propria abitazione il latitante Gianni Ghisena, fidanzato della sorella ma soprattutto uomo dei servizi e membro di logge massoniche. Impegnato all’epoca in una maxi contrabbando di sigarette dalla Grecia verso Milano con il supporto di gruppi criminali calabresi. Ilardo venne fatto uomo d’onore nel 1978 in una proprietà agricola a Vallelunga vicino Enna, lo zio era stato ucciso venti giorni prima, l’8 aprile 1978 nelle strade di Butera. Sempre con Ghisena si occupò di sequestri di persona. Imprenditori le cui vite venivano valutate milioni di lire. Uomini e donne che prelevati nelle regioni del nord Italia e trasferite in casolari insonorizzati nella Piana di Gioia Tauro in Calabria.
Tra i tanti racconti di Ilardo al Maresciallo Riccio c’è quello di una riunione tra massoni che si sarebbe tenuto a Palermo nel 1977. Illustre personalità della “Palermo bene” seduti con accanto il gotha di Cosa nostra: Nitto Santapaola, Pippo Calderone, Gianni Ghisena e Gigi Savona. Ilardo racconta anche dei contatti tra Ghisena e i servizi segreti. Incontri avvenuti, secondo i racconti del collaboratore, anche all’interno della base americana di Augusta (SR) da dove “Ghisena uscì con una valigetta contenente 50 kg di esplosivo”. L’ex capo provinciale di Cosa nostra a Caltanissetta ripercorse anche le giornate precedenti all’omicidio dello zio “Piddu” Madonia raccontando al Maresciallo Riccio una riunione avvenuta a Riesi in provincia di Caltanissetta alla presenza del boss Di Cristina. “Tragedie” interne a Cosa nostra sul traffico internazionale di eroina dalla Sicilia verso l’America. Un business miliardario a cui si sarebbe opposto lo zio di Ilardo, pagando con la morte. Proprio dall’omicidio di Francesco “Piddu” Madonia, Luigi Ilardo conosce i villani “corleonesi”, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella all’epoca ancora in piena guerra con i palermitani di Bontade, Inzerillo e dello stesso Giuseppe Di Cristina, ritenuto insieme a Calderone il mandante dell’omicidio Madonia.
Proprio Calderone, dopo l’omicidio di Di Cristina avvenuto il 30 maggio 1978, divenne l’obiettivo numero uno di Ilardo e Ghisena. Ben due volte il boss di Catania riuscì ad evitare per delle pure casualità legate a telecomandi difettosi e batterie poco durature di saltare in aria. L’appunto con la morte per Calderone fu solo rimandato. Un comando lo intercettò lungo la strada che collega la località marittima di Acicastello a San Gregorio ferendolo gravemente tanto da causarne la morte solo qualche giorno dopo nonostante il ricovero in clinica. Gli assetti di Cosa nostra si ridefiniscono. A Catania iniziò la sua inesorabile ascesa Nitto Santapaola. Lo zio di quest’ultimo Salvatore Ferrera “Cavadduzzu” diventava il capo provincia e il figlio di Francesco Madonia il nuova rappresentante di Caltanissetta. Ilardo venne successivamente condannato e iniziò così la sua latitanza che trascorse per oltre quattro anni a Barcellona Pozzo di Gotto. Il boss venne arrestato nel 1980 all’aeroporto di Fiumicino mentre era pronto a imbarcarsi per la Sicilia per trascorrere le vacanze insieme alla famiglia.
Il contributo più importante Luigi Ilardo, cattura di Provenzano esclusa, lo fornisce sul legame tra mafia e politica. Un connubio che attraversa decenni di storia tra sentenze, prescrizioni e processi finiti nel dimenticatoio. La fonte “Oriente” cita, tra i nomi importanti della politica, Marcello Dell’Utri, condannato in Appello a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e fondatore di Forza Italia con Silvio Berlusconi.