L’omicidio di Valentina Giunta: il processo va in Cassazione

L’omicidio di Valentina Giunta: il processo approda in Cassazione

Il difensore del figlio-omicida chiede le attenuanti
RICORSO DELLA DIFESA
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CATANIA. Secondo i giudici, il figlio l’ha assassinata a sangue freddo, senza scrupoli, per questo non merita nessuna attenuante. Ma la difesa non ci sta. Approda dunque in Cassazione il processo per l’omicidio di Valentina Giunta, la madre trentaduenne pugnalata a morte dal figlio di 14 anni.

Terzo grado

L’avvocato Francesco Giammona ha impugnato alla Suprema Corte il verdetto della Corte d’appello di Catania. I giudici avevano confermato la sentenza di primo grado: 16 anni al ragazzo, che ha confessato l’omicidio.

Il delitto di Valentina Giunta è avvenuto nell’estate di un anno fa nel cuore del quartiere di San Cristoforo. La difesa non contesta la responsabilità penale del giovane imputato, ma la concessione delle attenuanti, che farebbe scendere notevolmente la pena.

L’inchiesta è stata condotta dalla Squadra Mobile di Catania, sotto il coordinamento della Procura etnea. Il ricorso, invece, è stato depositato presso la Suprema Corte e a giorni si conoscerà la data dell’udienza romana. La difesa, dal canto suo, ha sempre puntato sullo stato emotivo del ragazzo, sui giorni antecedenti al delitto e sulle tensioni tra la madre e il padre.

Il corpo di Valentina Giunta fu trovato dalla polizia nella sua casa, per l’appunto, a San Cristoforo. I poliziotti della sezione Volanti erano intervenuti su segnalazione della sorella della vittima, che temeva fosse in pericolo.

La versione del ragazzo, “poco verosimile”

Agghiacciante la ricostruzione dell’omicidio fornita dall’assassino. Provò a giustificarsi dicendo che era stata per prima sua madre a prendere in mano un coltello dicendogli “Se non torni con me…”; pur senza formulare alcuna minaccia specifica.

E ancora: “Io le toglievo ii coltello dalle mani e la colpivo. Io potevo andare via anche perché lei era mi girava le spalle e cercava di allontanarsi, invece io continuavo a colpirla alla schiena”. Elementi che non hanno convinto il giudice di primo grado, Rosalia Castrogiovanni; né i giudici d’appello.

La giudice anzi scrisse di ritenere questa versione dei fatti “non certa e anche poco verosimile”. Per disarmare la madre, il ragazzo “avrebbe dovuto riportare qualche ferita nelle mani”. Invece, niente.

A margine della sentenza di primo grado, il difensore aveva dichiarato: “Aspettiamo le motivazioni della sentenza e poi vedremo, anche per comprendere per quale motivo non siano state concesse le attenuanti generiche, tenendo così alta la pena. Quello che mi sento di dire è che non è vero che il ragazzo parla del fatto in modo freddo e distaccato, come è stato sostenuto”.

Ma adesso si va in Cassazione. Secondo il medico legale, Valentina sarebbe stata colpita “con un’arma da punta e taglio al collo, al fianco e alla spalla sinistra che le ha cagionato la lesione di grossi vasi sanguigni, con shock emorragico che ne ha determinato la morte”.


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