Duplice omicidio, nessun colpevole | Morte, silenzio e misteri - Live Sicilia

Duplice omicidio, nessun colpevole | Morte, silenzio e misteri

L'omicidio di Falsomiele

Adele Velardo è stata assolta. Il marito si è suicidato. Chi ha ucciso Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela?

PALERMO – Per la giustizia, quella dei Tribunali, non c’è un colpevole. Il marito si è suicidato in carcere, la moglie è stata assolta. Anche se i giudici della Corte di assise avessero considerato Carlo Gregoli unico responsabile del duplice omicidio di Vincenzo Bontà e Giuseppe Vela la sua scelta estrema di togliersi la vita non assicurerà un colpevole alla giustizia terrena.

Adele Velardo è stata assolta in base all’articolo 530 comma II del codice di procedura penale: “Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”. Solo le motivazione della sentenza chiariranno a quali conclusioni siano arrivati i giudici. La donna, intervistata da LIvesicilia, dice che “la verità è venuta a galla”.  

L'avvocato Paolo Grillo

Da qualunque prospettiva si analizzi il duplice omicidio è una storia che inquieta. A cominciare dal movente, rimasto oscuro. Perché Gregoli e Velardo, che sono stati indagati e processati, avrebbero deciso di uccidere? Si parlò addirittura di banali liti di vicinato, mai confermate. Perché un impiegato comunale, se così si sosterrà nella sentenza, si trasforma in uno spietato killer? A scagionare la moglie potrebbe essere stata la perizia balistica che ha stabilito che i colpi partirono da una sola pistola. La storia del processo è segnata dalle perizie, quelle dell’accusa e quelle della difesa, dai risultati opposti.

La pistola che fece fuoco, una calibro 9, semiautomatica, è compatibile per i segni lasciati dai colpi con quella trovata in casa di Gregoli, grande appassionato di armi. C’è ampia compatibilità tra le tracce di sudore trovate su uno dei bossoli rinvenuti sull’asfalto e il profilo genetico dell’uomo. C’erano particelle di polvere da sparo sul volante, sul pomello del cambio e sul maniglia dello sportello lato passeggero della macchina dei Gregoli. Dunque anche nel posto dove era seduta Adele Velardo. È vero, i coniugi erano appassionati di armi, ma le tracce di polvere ritrovate in macchina erano incompatibili, per quantità, con quelle che normalmente  ci si porta addoss dopo un allenamento al poligono.

I periti nominati dai legali della difesa, gli avvocati Paolo Grillo e Marco Clementi, di contro, hanno contestato i metodi di indagine scientifica utilizzati. Con Grillo lavora un pool di esperti: la chimica forense Rosanna Abbruzzo, il genetista Gregorio Seidita e il perito balistico Gianfranco Guccia. Il pubblico ministero aveva chiesto un confronto fra i periti, ma la Corte ha respinto la richiesta e non ha ritenuto opportuno, come spesso accade, di avvalersi di un terzo consulente nominato dal collegio. C’è un particolare importante: la Corte ha ordinato la confisca della pistola del dipendente comunale. Una pistola detenuta legalmente e dunque la confisca scatterebbe perché l’arma è stata portata fuori casa. Ecco perché tutto farebbe pensare che la responsabilità del delitto potrebbe essere caduta unicamente su Gregoli.

E la moglie? Non ha sparato, potrebbe anche non avere nascosto la pistola sotto il sedile (nelle immagini si vede la donna mentre si china in macchina, ma non l’arma). Un dato, secondo l’accusa, è certo: la donna era lì, assieme al marito quando Bontà e Vela furono raggiunti da una pioggia di fuoco. Poteva anche essere considerata concorrente morale del delitto, ma per farlo sarebbe stato necessario dimostrare la sua partecipazione alla programmazione del duplice omicidio.

Le immagini di una telecamera inquadrano la macchina dei coniugi Gregoli. Sono le 9.38 del 3 marzo 2016 ed escono di casa, a bordo di una Toyota Land Cruiser, imboccando via Falsomiele. Alle 9.41 la Fiat 500 L con a bordo Bontà e Vela transita nella stessa strada, ma nel senso opposto di marcia. Una manciata di secondi dopo, ecco spuntare di nuovo la Toyota. Stavolta segue a ruota la Fiat. Poi, entrambe le auto escono dall’inquadratura. Un minuto e 43 secondi dopo riappare la Toyota. Si muove in retromarcia, fino a imboccare la stradina che li conduce alla loro abitazione. È in quel minuto e 23 secondi rimasti fuori dall’inquadratura che le vittime vengono crivellati di colpi.

Un testimone racconta di avere visto, impaurito, dallo specchietto retrovisore un uomo sparare, e la descrizione fisica combacia con quella di Gregoli. Bontà fu colpito alle spalle, mentre secondo l’avvocato Clementi che ha curari questo aspetto della difesa, il testimone riferisce che l’assassino e la vittima si trovavano faccia a faccia. I coniugi hanno sempre negato. Non hanno visto niente. Neppure hanno sentito i colpi di pistola.

Dopo il primo interrogatorio, il silenzio. La donna non è stata più sentita e non si è sottoposta neppure all’esame previsto per gli imputati. Un silenzio che Velardo non ha rotto neppure dopo che il marito si è tolto la vita in carcere. Non ha urlato la propria innocenza nonostante rischiasse la condanna all’ergastolo. Non ha cercato una scappatoia. Avrebbe potuto scaricare le colpe sul marito, ormai deceduto, dire che era stata testimone di un macabro duplice omicidio senza potere fare nulla per fermarlo, oppure tirare in ballo qualcuno sostenendo di averlo visto sparare, ma di non poterlo riconoscere in volto.

Agli atti restano le conversazioni in carcere fra marito e moglie. Frasi sussurrate dalle quali è stato possibile rilevare appena che stessero parlando di altre persone avrebbero dovuto trovarsi sul luogo del delitto al loro posto. Una strategia difensiva oppure, e sarebbe il più clamoroso degli epiloghi, sono entrambi innocenti e il vero killer è in circolazione? L’unica deroga al silenzio furono alcune frasi pronunciate dalla donna che rese dichiarazioni spontanee in sede di Riesame. Frasi confuse, dalle quali si poteva anche interpretare che avesse paura.

Forse neppure le motivazioni chiariranno i dubbi. La storia di Falsomiele inquieta da qualsiasi prospettiva la si guardi. Per ultima, ma è la più importante, dalla prospettiva di due uomini ammazzati per strada e dei loro parenti che piangono la loro assenza.

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