CATANIA – Il processo Ippocampo è da rifare. La Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello che aveva portato alla condanna dei vertici di ‘sangue’ del clan Mazzei di Catania. La corrente corleonese della famiglia catanese di Cosa nostra, per intenderci. Si torna indietro dunque. La decisione di oggi della Suprema Corte significa che si dovrà nuovamente celebrare il processo di secondo grado. Senza le motivazioni, che saranno depositate tra qualche tempo, non è possibile comprendere quale sia la ragione che abbia portato a una decisione così tranciante.
Il commento dei difensori
Non nasconde la sua soddisfazione l’avvocato Francesco Antille, tra i difensori che hanno fatto ricorso. “Dopo anni di corretto confronto processuale la Suprema Corte ha riconosciuto la fondatezza delle tesi difensive”, commenta. “La Corte di Cassazione – dichiara invece a LiveSicilia l’avvocato Salvo Pace – ha integralmente annullato la sentenza Ippocampo. Molte le ragioni che possono avere indotto a tale decisione: questioni procedurali ma anche questioni di merito. È stata un fatica difensiva che ha richiesto da parte dei difensori uno straordinario impegno. Per le questioni trattate, per le eccezioni sollevate, per il forse inevitabile pregiudizio nei confronti di chi porta il cognome Mazzei e di conseguenza rimanda ai “corleonesi”. Però i giudici della Suprema Corte hanno in scienza e coscienza dimostrato – conclude Pace – che questo Paese è ancora uno stato di diritto”. Il collegio difensivo è composto inoltre dagli avvocati Valerio Vianello, Giuseppe Rapisarda, Margherita Ferraro ed Enza Pirracchio.
L’inchiesta e la sentenza d’appello
Il processo ha fotografato gli affari dei Mazzei, conosciuti nella malavita come Carcagnusi. Un’indagine che principalmente ha ricostruito le attività illecite del clan inerenti il traffico di droga. In appello (la Corte ha quasi in toto confermato la sentenza di primo grado) le condanne sono state pesantissime: Nuccio Mazzei a 30 anni, Giovanni Galati Massaro a 16 anni di reclusione, Prospero Riccombeni a 13 anni, Gioacchino Intravaia, il cognato del capomafia, a 11 anni, 9 anni ciascuno per Rosa Morace, moglie di Santo (il boss dei boss rinchiuso al 41bis) e mamma di Nuccio Mazzei, Michele Di Grazia, Gaetano Pellegrino, detto u Funciutu (fratello dell’ex consigliere comunale Riccardo rinviato a giudizio per corruzione elettorale e archiviato – tre volte – per voto di scambio politico mafioso), ed infine 3 anni, 6 mesi e 20 giorni a Michele Di Grazia. Quella sentenza è stata, dunque, annullata. Gli atti torneranno al secondo piano del Palazzo di Giustizia di piazza Verga dove si dovrà nuovamente celebrare il processo di secondo grado davanti a una sezione diversa della Corte d’Appello di Catania. Si ricomincia dal secondo tempo.