CATANIA – Raffaele Pippo Nicotra, ex deputato regionale e imprenditore, avrebbe finanziato il gruppo di Aci Catena del clan Santapaola. E in qualche modo con i suoi soldi avrebbe garantito la sopravvivenza dell’organizzazione criminale stessa. Accuse dure e inquietanti quelle che la Gup Anna Maria Cristaldi mette nero su bianco nelle motivazioni della sentenza del processo Aquilia, che meno di tre mesi fa si è concluso con una serie di condanne. Tra cui quella a sette anni e quattro mesi per concorso esterno nei confronti dell’ex politico catenoto, che per diverse legislature ha occupato un posto all’Assemblea Regionale Siciliana con diversi partiti. Nicotra dal nuovo Psi è passato alla colomba dell’Mpa, poi è approdato in ordine a Pdl, Udc, Articolo 4 e, infine, alla corrente ‘renziana’ del Pd.
Oltre 500 pagine, in cui la gup riassume l’imponente apparato probatorio che è finito negli atti del processo abbreviato di primo grado. Già alla lettura del dispositivo la difesa di Nicotra, il professore Giovanni Grasso e l’avvocato Orazio Cunsolo, ha annunciato il ricorso in appello.
L’intervento per i funerali del boss
La gup parte da lontano. Da quell’intervento, alquanto sospetto, tenuto da Raffaele Nicotra nel 1993 (era sindaco di Aci Catena) “in occasione dell’omicidio e dei funerali di Maurizio Faraci, cognato del capo mafia Sebastiano Sciuto”. Nicotra ha cercato di fare revocare il divieto dei funerali. Da quell’episodio ci fu il consequenziale “scioglimento del consiglio comunale di Aci Catena”.
La difesa del Nicotra ha offerto un’altra chiave di lettura dei fatti: Nicotra sarebbe intervenuto “unicamente per spirito di servizio ai concittadini quale sindaco di Aci Catena e per umana pietà nei riguardi di suoi compaesani”.
Ma il gup ricorda “come il Nicotra avesse anche partecipato ai funerali del Faraci assieme a Sebastiano Sciuto (capoclan oggi morto, ndr). “Al di là delle considerazioni circa una possibile manifestazione di pericolosità sociale – scrive la giudice – detta condotta non può essere considerata mera esternazione di pietà umana verso i parenti del defunto, a meno di non dimostrare che il Nicotra, quale sindaco, avesse preso parte a tutti i funerali che venivano celebrati”.
L’incontro con il latitante La Causa
L’ex deputato all’Ars ha incontrato almeno in un’occasione durante la latitanza Santo La Causa. Il condizionale va tolto, nonostante siamo alla conclusione del primo grado, perché il ‘rendez-vous’ è stato confermato dallo stesso imputato nell’ultima udienza, poco primo che la gup si ritirasse in camera di consiglio.
Ma andiamo per ordine. “Nicotra sarebbe riuscito – scrive la giudice – a tutelare se stesso e, soprattutto gli uomini del gruppo di Aci Catena” che lo avrebbero ritento “perfettamente affidabile”. Una fiducia che avrebbe convinto lo “stesso reggente pro tempore del clan Santapaola, Santo La Causa” ad incontrare “Nicotra, mentre era latitante”.
L’incontro – ricostruisce Anna Maria Cristaldi – si era addirittura svolto presso uno dei supermercati del Nicotra”. La Causa, che in quel momento era il vertice del clan, sarebbe stato “certo di trovarlo e sicuro che questi non gli avrebbe teso un tranello”
L’intercettazione
Non ha dubbi il giudice sul fatto che l’incontro “sia avvenuto”. C’è un’intercettazione. Un riscontro formidabile. “Nicotra e Sebastiano Strano, nel dialogo intercettato in data 7.03.2013 commentavano l’avvio della collaborazione di La Causa ed esprimevano preoccupazione per quanto questi avrebbe potuto riferire su di loro”, annota la gup.
Nicotra: Tu dici che si possa pentire?
Strano: … certo!
Nicotra … e che può dire? … si può “accullare”
Strano: .. e che può dire…
“Peraltro La Causa – scrive la giudice nella sentenza – diceva di avere indossato una tuta da benzinaio e Nicotra e Strano ricordavano proprio quel particolare abbigliamento di La Causa. Inoltre, gli stessi erano ben consapevoli del ruolo e della posizione di La Causa, atteso che – come da loro commentato – questi aveva detto di essere il numero due del clan, in posizione subordinata al solo Benedetto Santapaola (“io sono… sono … dopo… dopo di … di Nitto)”.
Le dichiarazioni di Nicotra
Ed ecco che arrivano le dichiarazioni di Nicotra rese all’udienza del 8 maggio 2020. L’imputato sostiene “di essersi trovato al lavoro e di essere stato sorpreso dal Brancato (Alfio, ndr) che citofonava. Egli è uscito e ha incontrato Brancato e un personaggio con una tuta da meccanico che aveva appreso essere La Causa, il referente per Catania per questa famiglia Santapaola”.
Per il giudice non è da sottovalutare il fatto che un “deputato della Regione Siciliana” non avesse ritenuto doveroso “denunciare che un capomafia, un latitante, in quegli anni tra i più ricercati, si fosse recato da lui, per incontrarlo”.
La difesa, ancora una volta fornisce un nuovo punto di osservazione, e sostiene come “Nicotra fosse un imprenditore sottoposto ad estorsione ed avesse soggiaciuto alle pretese degli uomini del clan, acconsentendo anche a rendere loro piccoli favori, solo per evitare gravi conseguenze e per il timore per la propria incolumità”. Ma al gup “tale ricostruzione non convince”.
“Nicotra finanziava il gruppo mafioso”
Oltre a Santo La Causa, il principale accusatore di Raffaele Pippo Nicotra è il pentito Gaetano Mario Vinciguerra, ex personaggio di vertice della mafia di Aci Catena. È lui che fornisce una data di inizio del “rapporto” tra il gruppo mafioso e l’imputato: sarebbe “iniziato quantomeno nel 2001 a seguito alla scarcerazione del Vinciguerra”.
Secondo il collaboratore Nicotra avrebbe “accettato, senza alcuna minaccia, di finanziare il gruppo mafioso di Aci Catena”. L’ex deputato avrebbe “pagato periodicamente somme in favore del gruppo- passate da 3000 a 15 mila euro annui – nonché pagava il gruppo mafioso per la raccolta dei voti” sia per le comunali che per le regionali.
La giudice è lapidaria: “È certo che il Nicotra pagasse cifre importanti al clan: lo faceva a titolo di estorsione, a titolo di sovvenzione e per remunerare la ricerca di voti in suo favore. Invero, può ritenersi dimostrato che, almeno, in parte quelle somme fossero pagate dal Nicotra perché estorto”.
Ma su questo punto la gup chiarisce un aspetto: “Vi sono però casi in cui esistono interessi convergenti tra l’impresa e l’organizzazione” in cui “si instaura un rapporto di reciproco scambio”. E per la gup, dunque, “il rapporto tra i due soggetti “ si evolve da “coatto” a “paritario”.
“Rapporto paritario con il clan”
Andando al processo, la giudice preme per evidenziare “Come Nicotra non fosse intraneo all’associazione mafiosa: pur avendo contatti con esponenti del gruppo mafioso”. Non sarebbe stato dunque “partecipe alle dinamiche associative” ma si sarebbe limitato “a sfruttare i vantaggi derivanti dalla sua vicinanza al gruppo mafioso.
L’imputato, imprenditore e uomo politico, “fornisce, ai fini della conservazione o del rafforzamento dell’associazione, un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere continuativo” provvedendo al “rafforzamento delle capacità operative del sodalizio”.
La raccolta dei voti
Elargizioni che avrebbero da una parte consentito “il sostentamento del gruppo criminale” e dall’altro assicurato “voti al candidato Nicotra attraverso l’intervento dell’associazione mafiosa”.
Per il gup però solo una parte del denaro versato da Nicotra sarebbe stato impiegato dal clan per le competizioni elettorali. La fetta maggiore sarebbe stata trattenuto dal gruppo mafioso. D’altrande “la loro appartenenza al clan sarebbe stata sufficiente strumento di pressione per convincere i loro interlocutori” a votare chi indicavano.
“In relazione alla contestazione di concorso esterno – conclude il gup – va quindi ritenuto che le dazioni di denaro in occasione di competizioni elettorali erano idonee a contribuire alla conversazione e al rafforzamento dell’associazione”.
Le assunzioni
Non solo soldi, Nicotra avrebbe anche garantito posti di lavoro a familiari di associati se non affiliati stessi. “Il costrutto accusatorio – scrive la gup – avente ad oggetto lo specifico contributo offerto da Nicotra all’associazione con l’assunzione, alle sue dipendenze o alle dipendenze di soggetti a lui collegati, di familiari degli associati, ovvero di associati al gruppo, risulta dimostrato”.
Nella sentenza si legge ancora che “Nicotra, finanziando il gruppo di Aci Catena, garantendo assunzioni nonché prestandosi a cambiare assegni, si è rappresentato ed ha voluto contribuire alla conservazione a al rafforzamento del clan. Ha tratto, inoltre, da tale condotta un proprio tornaconto, ottenendo dal gruppo mafioso l’appoggio elettorale e preservando i propri supermercati dalle rapine”.
In realtà, anche come ha evidenziato la difesa, i supermercati di Nicotra sono stati molte vote oggetto di rapine, che sono state denunciate. Una di queste è stata raccontata dal pentito Mario Sciacca, che poi per punizione sarebbe pestato. “Le dichiarazioni – argomenta la gup – dimostrano tuttavia come vi fosse comunque una difficolta del clan a impedire la commissione di rapine, sebbene gli affiliati fossero pronti a intervenire, successivamente alla commissione dei reati, in favore del Nicotra, sia per sanzionare i colpevoli, sia allo scopo di prevenire ulteriori fatti”.
Le conclusioni della gup
La giudice per le udienze preliminari, al termine dell’analisi dell’apparato accusatorio e del compendio della difesa, sulla condanna per concorso esterno scrive: “Tutte le condotte attraverso cui Nicotra ha contribuito alla vita del clan sono state, quindi, pienamente volute e realizzate nell’ambito di un sinallagma paritario con i principali esponenti del gruppo di Aci Catena, rispetto ai quali il Nicotra non era nella posizione di sudditanza propria di una vittima”.