PALERMO – Stavolta ci credono anche pubblici ministeri e investigatori. Quella di Salvatore Manganaro, verbale dopo verbale, smette di essere una confessione a metà. Nel frattempo c’è una nuova pista da battere e porta ai contatti con la mafia.
Fino a luglio l’imprenditore della sanità, uomo chiave dell’inchiesta della Procura di Palermo, era stato interrogato tre volte. I verbali sono stati depositati al Tribunale del Riesame. In gran segreto, però, Manganaro è stato convocato altre volte negli ultimi mesi. Le sue dichiarazioni sono top secret, ma avrebbe già fornito prova di credibilità.
Manganaro, il faccendiere agrigentino che non ama essere definito tale (preferisce “imprenditore”) è uno dei dieci arrestati nel blitz del 21 maggio scorso del Nucleo di polizia economico-finanziaria. Secondo l’accusa, era l’uomo di riferimento per Fabio Damiani, ex manager dell’Asp di Trapani ed ex responsabile della Centrale unica di committenza della Regione che gestisce gli appalti siciliani.
“Parere negativo”
I suoi primi verbali erano già zeppi di nomi di politici, burocrati e procacciatori di affari. Eppure il procuratore aggiunto Sergio Demontis e i sostituti Giovanni Antoci e Giacomo Brandini avevano espresso parere negativo sulla sua scarcerazione. E Manganaro è rimasto in carcere.
Ritenevano che fosse “ben lontano dall’intraprendere un credibile percorso di collaborazione” e “ha proseguito nel rendere dichiarazioni dalle quali traluce una ben definita e palese strategia volta a sottrarsi ad ogni costo all’applicazione della custodia cautelare in carcere, ma anche a limitare il proprio perimetro di responsabilità per i fatti in contestazione anche con riferimento all’individuazione delle esatto quantum delle indebite utilità concretamente erogate a lui e a Damiani dalle imprese coinvolte nei fatti per cui si procede”.
Nuove confessioni
Ora però le cose sarebbero cambiate. Manganaro sta aggiungendo nuovi particolari. Va molto oltre l’ammissione, già fatta, di avere ricevuto cento mila euro da Crescenzo De Stasio, manager della Siram, per pilotare un appalto. Soldi che avrebbe diviso con Damiani (quest’ultimo ha confessato di avere ricevuto 37 mila euro). Damiani che avrebbe ricevuto, anche se ancora non si sa da chi, uno stipendio da dieci mila euro al mese.
I biglietti in carcere
Tra le cose che Manganaro sta chiarendo nei nuovi interrogatori ci sarebbe la storia dei biglietti scoperti dagli agenti del carcere di Agrigento dove è detenuto.
Durante i colloqui con i familiari sono stati rinvenuti due bigliettini con messaggi in codice. In uno c’era un codice fiscale e il numero di una carta di credito. Nel secondo, definito “inquietante” da chi indaga, c’erano iniziali e date di nascita.
L’archivio segreto
Altro tema sono gli archivi segreti che Manganaro conservava in una memoria informatica. Ci sono dentro nomi, contabilità, progetti e registrazioni audio di conversazioni. Un mare magnum nel quale Manganaro è in grado di orientarsi.
E spunta il boss
C’è un ulteriore tassello da mettere a posto e viene fuori spulciando alcuni atti giudiziari sulla mafia palermitana. Il 7 maggio 2018 le microspie registrano uno dei tanti colloqui fra il capomafia di Villabate Francesco Colletti e il suo uomo di fiducia Filippo Cusimano. I due discutono di una serie di incontri programmati o da programmare con altri mafiosi. Citano ad esempio Franco Picone della Noce, Filippo Bisconti di Belmonte Mezzagno e un personaggio la cui identità è da chiarire: “… c’è solo Nunzio… ed è per il discorso degli appuntamenti”.
“La ditta che lavora in ospedale”
Le cimici captano un colloquio che si discosta dai tradizionali ambiti in cui si muovono i boss. Cusimano: “… allora… casomai io non ci sono…”. Colletti: “Perché?”. Cusimano: “C’è la ditta che lavora dentro l’ospedale… si chiama questa PFE…. PFE… ditta questa delle pulizie che è di Caltanissetta.. questo si chiama Navarra per vedere se lui ha qualche contatto là…”. Poi cambiano discorso.
La persona citata è Salvatore Navarra, anch’egli fra gli arrestati del blitz del Nucleo di polizia economico- finanziaria. Si tratta dell’uomo che ha confessato di avere promesso una maxi tangente da 750 mila euro a Manganaro, che avrebbe agito per conto di Damiani.
I soldi, così ha detto Navarra (leggi il su verbale), servivano affinché la società Pfe, di cui è presidente, ottenesse l’appalto delle pulizie negli ospedali siciliani. O meglio, affinché non venisse danneggiata e tagliata fuori dal maxi appalto da 227 milioni di euro.
Cusimano, braccio destro del boss di Villabate, voleva chiedere a Navarra se avesse “qualche contatto là”. Si sono mai parlati? Di quale posto si tratta? Quali erano le informazioni che servivano ai mafiosi? Potrebbe esserne al corrente Colletti che ha scelto di collaborare con la giustizia.