Mafie, quando i blitz non bastano: "reclutamento" su tre direttrici - Live Sicilia

Mafie, quando i blitz non bastano: “reclutamento” su tre direttrici

L'analisi del comandante dei carabinieri, Rino Coppola: "Non si può relegare tutto alla semplice repressione"
I CLAN DELLA DROGA
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CATANIA – Il tempo è ormai scaduto. La lotta alla mafia militare deve passare da un progetto di ricostruzione sociale e culturale. Non basta il pugno duro della repressione. La (r)esistenza delle piazze di spaccio ai blitz che si susseguono mesi dopo mesi, anni dopo anni, è la prova inconfutabile della capacità di rigenerazione dei “clan della droga” catanese.

La rigenerazione dei clan della droga

A San Giovanni Galermo e Trappeto nord lo smercio di cocaina e marijuana è ripreso pochi giorni dopo la maxi retata dei carabinieri che ha portato a oltre un centinaio di persone dietro le sbarre. Ma il procuratore Carmelo Zuccaro è stato chiaro: all’azione “della polizia giudiziaria deve seguire un recupero sociale del territorio da parte delle istituzioni, affinché si possano auspicare risultati concreti sul contrasto di questa tipologia di fenomeno criminale”.

Le tre direttrici del reclutamento

Per poter avviare interventi incisivi è fondamentale avere una profonda conoscenza del fenomeno criminale. Un punto nodale, secondo il comandante provinciale dell’Arma, Rino Coppola, esperto e attento osservatore delle mafie, è il reclutamento della manovalanza che “avviene lungo più direttrici”. Il colonnello li divide in “ambito familiare, rapporti interpersonali e nel mondo carcerario”.

L’eredità criminale

“Molto spesso – spiega Coppola – nell’organizzazioni mafiose si sviluppa una sorta di subcultura in ragione della quale il figlio del mafioso sarà esso stesso un mafioso. Le istituzioni – argomenta – non possono permettere una cosa del genere. Non possiamo abbandonare questi giovani e questi ragazzi a sé stessi e dobbiamo cercare in tutti i modi di recuperarli”.

I soldi facili

“Altra modalità di reclutamento – aggiunge il colonnello – è quella dei rapporti interpersonali e questo naturalmente riguarda le aree degradate del centro e delle periferie. Molto spesso si viene attratti dalla possibilità di facili guadagni, parliamo di organizzazioni criminali che reclutano per lo svolgimento dello spaccio di sostanze stupefacenti e per l’attività di presidio delle piazze. Ovviamente non è sufficiente – spiega – la semplice repressione o non si può delegare tutto alle forze di polizia. È necessario risolvere i problemi di illegalità diffusa e qui ci sono istituzioni che vengono chiamate in campo, comprese le amministrazioni locali. È necessario offrire delle alternative lecite che consentano di inserirsi nel mondo del lavoro. Bisogna rendere attrattivo e remunerativo il rispetto della legalità. Va poi diffusa la cultura del rispetto delle regole che devono essere non imposte dalle forze di polizia ma devono essere interiorizzate. I giovani devono capire perchè è necessario rispettare la legge e le regole. Va fatto – analizza ancora il comandante dei carabinieri – un lavoro di sistema da parte delle istituzioni e degli attori sociali”.

Il mondo delle carceri

Coppola, infine, affronta un argomento poco preso in considerazione. Cioè quello che accade all’interno delle carceri. “L’altra direttrice per cui avviene il reclutamento è quella criminale, anche se sembra un paradosso”, spiega. “Se un giovane commette un determinato tipo di reato e finisce in carcere, c’è sì la funzione educativa della pena ma c’è anche la possibilità che l’ambiente carcerario diventi un piccolo laboratorio all’interno del quale si sviluppano relazioni che poi possono portare quel soggetto una volta uscito dal carcere a continuare un percorso criminale anche di aggravamento”, argomenta Coppola.

“Anche in questo caso – dice con forza il colonnello – è necessario impiegare le giuste energie per far sì che ci sia rieducazione all’interno delle carceri e non si evolvino circuiti relazionali per lo sviluppo di altre dinamiche criminali. È un tema abbastanza complesso – afferma il comandante – all’interno del quale bisogna sapere agire con un’energia ben precisa”.

Strategia unitaria per contrastare la resilienza delle mafie

Coppola, infine, mette in guardia: “Non si può nemmeno pensare di puntare di analizzare solo una di queste direttive abbandonando gli interventi sulle altre, così non si riuscirebbe a ottenere il risultato. Ecco, quello che serve, è avere le idee chiare su determinati meccanismi e cercare poi di tracciare delle strategie che agiscano a 360 gradi sul sistema delle organizzazioni criminali per poterle poi effettivamente contrastare e combattere, altrimenti ci si continuerà a chiedere come mai a fronte delle tante operazioni di polizia, a fronte della repressione giudiziaria che viene svolta, le organizzazioni criminali si palesano così resilienti, cioè in grado poi ogni volta di rigenerarsi. La spiegazione sta nel fatto che dinanzi a problemi complessi è necessaria una risposta altrettanto complessa e diversificata. Non si può relegare tutto – conclude – alla semplice repressione”. 

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