Amministrative, ancora troppo poche le donne in campo

Amministrative, ancora troppo poche le donne in campo

Ne abbiamo parlato con la scrittrice Marinella Fiume e Stefania Mazzone, storica delle dottrine politiche a Catania

Sono tre le donne candidate sindaco alle prossime amministrative in provincia di Catania nelle cinque piazze che andranno al voto il 10 ottobre prossimo. Tre su ventiquattro: Giuseppa Aliotta (Caltagirone, civica), Teresa Corallo (Ramacca, M5s) e Patrizia Lionti (Giarre, civica). Soltanto tre, dunque. Un ottavo esatto. Mentre sono 27 gli assessori donna designati a fronte di un numero di uomini in campo decisamente più corposo. Poche, insomma. Un contingente che sicuramente non può favorire quel cambio di mentalità utile a raggiungere, nel concreto, quell’effettiva parità di genere sancita 73 anni fa con la carta costituzionale. Ma ciò che accade nel Catanese non è in controtendenza rispetto alle altre piazze siciliane, anzi.

Misoginia e politica

Numeri così bassi ci dicono di come la situazione sia stagnante. “Nel mio partito sono tutti misogini, ma non lo ammettono. E se c’è da lasciar spazio a una donna ci pensano due volte”, una consigliera comunale ci ha contatto per dirci la sua. Tuttavia non vuole apparire con nome e cognome, perché la disciplina di partito resta comunque un valore da difendere sempre e comunque. Ma anche perché sa pure che una lagnanza così forte verrebbe comunque accolta come la conferma di una profezia che si autoavvererebbe.

I numeri però parlano chiaro. E se ci sono uomini che guardano ancora oggi con sospetto alle donne in politica, ci sono donne che preferiscono fare carriera in altri ambienti lavorativi. La politica con ambiente troppo mascolinizzato. La politica come luogo ostile alle donne. Ma la politica anche come liturgia dove alcuni equilibri fanno fatica a rinnovarsi. Non è soltanto una questione di genere, ma anche di élite che restano sempre in sella, refrattarie al cambiamento.  

“Gli ostacoli sono a monte…”

“Così la politica non cambierà mai, per questo le donne spesso scelgono di non votare”, l’analisi di Marinella Fiume vale quanto quella radiografia che rivela l’avanzare delle metastasi. Storica militante femminista, già sindaca di Fiumefreddo quando lo scontro a viso aperto con i clan era ad altissima intensità e scrittrice dalla profonda consapevolezza femminile. Contatta da LiveSicilia ci dice: “Gli ostacoli sono a monte, nel reclutamento delle liste che fanno i partiti per cui all’elettorato femminile non sono riservati posti importanti in lista e i nomi sono scelti dai capoccia principalmente tra le moglie, le zite, senza coinvolgimento della base”.

Marinella Fiume dice le cose come stanno, anche perché certe dinamiche le ha conosciute stando in prima linea. Tuttavia è convinta che il ruolo delle donne nel contesto pubblico, anche in un periodo in cui l’attivismo sembra una brutta parola da pronunciare a bassa voce, può farsi ancora sentire: “Non credo che sia venuta meno la spinta femminile – ci dice – Anzi, le donne si sono impegnate con tantissime associazioni per le proposte sull’impiego del denaro che viene dall’Europa, le donne hanno retto sulle loro spalle gran parte del peso dei lockdown. Le donne hanno dimostrato grande vitalità nel progettare sviluppo dei territori.  Ecco, bisogna ripartire dalle donne appunto per ripartire”.

Intanto però all’Ars c’è chi propone di rivedere il meccanismo della doppia preferenza di genere. “Va mantenuta, come fase di passaggio. Perché ce n’è ancora di bisogno. Sarebbe il caso che anche alla Regione siciliana ci pensassero un po’ su”. 

Maschilizzazione

Ambienti dove la maschilizzazione è una dinamica dominante, soprattutto nella dimensione periferica. “I luoghi dell’amministrazione locale sono luoghi maschili come i centri scommesse”. Stefania Mazzone, docente di storia delle dottrine politiche presso il dipartimento di Scienze Politiche a Catania, e studiosa della dimensione femminile, propone un confronto sconcertante. “La resistenza maschile in campo della gestione amministrativa ritengo che sia talmente forte, in termini di linguaggi, codici, semantiche, che non attiri nemmeno l’interesse delle donne, al contrario dei luoghi della politica alta”.

“In sostanza: alle regole del gioco maschili, le donne si annoiano. Perché non entrano a cambiarle? Forse perché ne sentono la distanza da sé”, ci dice ancora Mazzone. “Bisognerebbe entrare nel gioco, smontarlo attraverso la rissa e la conseguente emarginazione, e ricostruirlo più vicino all’Oikos, dove la donna è”.

E i partiti? “Sono eccessivamente maschilizzati e pieni di donne maschilizzate, quelle donne cioè che preferiscono farsi chiamare ‘direttore’”. Tuttavia – ci dice – “il desiderio della partecipazione all’agorà è ancora alto, vitale. Ma strordinariamente maschilizzato”.

Quali ingredienti possono arrivare dai movimenti femministi per rinnovare i contesti amministrativi? “Ci sono tanti femminismi per quante sono le donne attive, per fortuna – riprende Stafania Mazzone – Non è l’omologazione che dà la forza. La forza, alla lunga, viene dall’incessante azione della differenza, dalla rivoluzione della differenza. I femminismi cercano, in modi contraddittori e conflittuali, di uscire dall’omologazione senza tuttavia cercare il mito dell’unità, un mito peraltro maschile”. 


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