E adesso mettiamoci nei panni di una delle tante persone perbene che vivono allo Sperone, finito sui giornali per l’ennesimo blitz, uno che viene raccontato – pure lui – come un abitante collettivo dell’abisso. Pensiamo ai suoi onesti sforzi. All’impegno di chi vuole educare i figli secondo coscienza. Alla fatica. E sei associato come componente, tuo malgrado, di una situazione irredimibile. Perfino tu che cerchi di tirare avanti con rettitudine dove è più difficile. Ed è più difficile non per un elemento genetico, visto che, allo Sperone, come allo Zen, come in tutte le periferie, ci abitano i palermitani. Ma perché la città col monocolo che vive tra quartieri residenziali e dimore principesche vuole che tu sia il ghetto, quando ha bisogno di ammirarsi allo specchio.
“Qui le persone perbene soffrono e non solo loro”. Don Ugo Di Marzo, parroco di Maria Santissima delle Grazie, nel cuore geografico e materiale degli eventi, è un parrino, come lo chiamano affettuosamente, di Messa e di strada. Non si limita alle omelie dal pulpito, cerca di fare. Di recente, ha chiamato pure i carabinieri all’altare della sua chiesa. Tenta, insomma, di ricucire, di collegare, di portare al bene, senza chiudere la porta in faccia all’ascolto del male. Dicendo che è male, ma non condannandolo senza pietà, né senza una possibilità di redenzione. “Tu mi capisci, no? – dice don Ugo – Soffrono pure quelli che hanno quarant’anni, la terza media, senza lavoro, con cinque o sei figli da mantenere. E sognano, per i loro figli, il meglio, un’esistenza diversa meno travagghiata. E li vorrebbero magari, dottori e avvocati. Ma sanno che il cosiddetto ascensore sociale è bloccato ai piani alti. Ecco perché mi arrabbio quando si parla in un certo modo dello Sperone. Io combatto contro il male, ma cerco di salvare le persone. Volete giudicare? Prima venite a vivere qui e poi vediamo”.
“Lo sai che ti dico? – continua don Ugo –Se questi fossero i tempi terribili del martirio di don Pino Puglisi, io rischierei la vita. Ma Palermo non è più quella Palermo. La gente vuole il cambiamento. Qui tutti chiedono, davvero e disperatamente un cambiamento, e di essere sottratti al meccanismo perverso della povertà. Ma è necessario, ancora una volta, essere chiari. Tu non puoi vendere droga, neanche per dare da mangiare a tuo figlio. Perché rischi di ammazzare il figlio di altri. I rapporti non sono semplici. Un bambino che, a cinque anni, ha visto il papà arrestato, non può coltivare sentimenti amichevoli nei confronti delle forze dell’ordine. Ha torto, però è normale. Ecco perché dobbiamo ricostruire”.
“Non si deve dire che questo è un quartiere-ghetto – conclude don Di Marzo -, non per sua scelta, almeno. I politici vogliono il ghetto per cercare voti, tutti i politici. Ma lo Stato è presente. Le mamme, i papà, chiedono aiuto. E io non sono contro nessuno, non faccio le crociate. Non mi interessa gridare nemmeno che sono contro la mafia, anche se lo sono, ovviamente. Non lo nomino l’orrore mafioso, non voglio dargli confidenza, né importanza. Io sono un sacerdote, la mia strada è Cristo. Ed è la strada di tutti”. Lo Sperone della droga. Lo Sperone malfamato. Lo Sperone con i suoi problemi, con i bambini-pusher, con una fetida economia del narcotraffico che riempie le tavole, mentre retorica e belle parole le lasciano vuote. Le belle parole della città che vuole specchiarsi nelle sue virtù e regalare ad altri l’ombra dei suoi vizi.