PALERMO – Era tornato in carcere lo scorso dicembre, ora è stato condannato per mafia. Sono stati inflitti 12 anni in abbreviato a Giuseppe Costa, uno dei carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Paolo Guido e del sostituto Gianluca, Costa si sarebbe anche dato un gran da fare durante la campagna elettorale per le Regionali del 2017. Le indagini erano della Direzione investigativa antimafia e dei carabinieri del comando provinciale di Trapani.
Legato ai capimafia trapanesi Pietro e Francesco Virga, nel 2017 Costa era uscito dal carcere dove era stato rinchiuso nel 1997. Vent’anni di reclusione per aver partecipato ad una delle vicende simbolo della barbarie di Cosa Nostra. Il piccolo Giuseppe Di Matteo fu rapito, strangolato e il corpo sciolto nell’acido a soli 13 anni per tentare di zittire il padre Santino, divenuto collaboratore di giustizia.
Il casolare dell’orrore
Fu lo zio della moglie di Costa, Vito Mazzara, a prendere accordi con Matteo Messina Denaro e Giovanni Brusca. Costa mise a disposizione la sua casa nella frazione di Purgatorio come luogo di prigionia del bambino. Il piccolo vi arrivò incappucciato, dentro il portabagagli e rinchiuso nella cella che Costa aveva costruito con le sue mani. L’immobile ora è finito sotto sequestro. Il calvario del piccolo Di Matteo – 779 giorni di prigionia – fece tappa anche in terra trapanese, prima che per volere di Giovanni Brusca gli stringessero una corda al collo.
“Ti portiamo da tuo padre”, dissero a Giuseppe raggiunto in un maneggio il 23 novembre 1993. L’11 gennaio del 1996 il tragico epilogo. Enzo Salvatore Brusca, fratello di Giovanni, lo teneva per le braccia, Giuseppe Monticciolo per le gambe, Vincenzo Chiodo lo strangolò.
Ritorno al potere
Nel 2017 Costa avrebbe cercato di tornare a fare valere il suo peso mafioso. Dopo vent’anni di carcere vissuti in silenzio si è guadagnato il rispetto di tutti. Si muoveva molto a Trapani, dove era particolarmente interessato alle elezioni regionale del 2017, ma aveva anche solidi rapporti con i boss palermitani.
Le nuove contestazioni che lo hanno portato al processo erano associazione a delinquere di stampo mafioso, controllo illecito degli appalti, speculazioni immobiliari, risoluzione di dissidi tra privati, intimidazioni, divisione dei proventi di denaro illecito. Costa avrebbe pure controllato gli interessi di Cosa Nostra in un impianto di calcestruzzo.
Poco prima del suo arresto era giunto a sentenza il primo troncone dell’inchiesta denominata “Scrigno”, in cui emergeva la figura di Costa.
I boss Virga
Francesco e Pietro Virga, figli di Vincenzo, storico luogotenente di Matteo Messina Denaro, all’ergastolo per l’omicidio di Mauro Rostagno, sono stati condannati a 8 anni ciascuno di carcere con l’accusa di avere retto il mandamento mafioso.
Le elezioni regionali
Nello stesso processo erano imputati Antonino D’Aguanno (condannato a 3 anni e 4 mesi) e la moglie Anna Maria Inferrera (assolta). Quest’ultima, candidata dell’Udc nel 2017, già assessore comunale a Trapani, era imputata per voto di scambio politico mafioso. Il giudice ha riconosciuto tutti gli scambi elettorali sporchi, compreso quello che la riguardava. Solo che la candidata non sarebbe stata a conoscenza dell’accordo fra il marito, D’Aguanno, e i Virga che per tale fatto sono stati tutti e tre condannati. Anche Costa si sarebbe speso per la campagna elettorale. Fu un flop: la candidata raccolse 900 voti, ultima della sua lista.