L’essere isola, con le difficoltà collegate ai trasporti e ai collegamenti, costa alla Sicilia tra i 6,04 e i 6,54 miliardi di euro l’anno, un valore tra il 6,8 e il 7,4% del Pil regionale. Questo si traduce di fatto in una sorta di tassa occulta quantificabile in circa 1.300 euro a testa per ogni cittadino siciliano, neonati compresi. A fare i conti è stato uno studio sulla “Stima dei Costi dell’insularità della Sicilia”, realizzato con Prometeia e con le università siciliane, che è stato approvato dalla commissione paritetica Stato-Regione, e le cui risultanze sono state inviate alla ministra per il Sud Maria Rosaria Carfagna e al ministro dell’Economia Daniele Franco, proprio mentre al Senato si discute dell’inserimento del riconoscimento svantaggio dovuto all’insularità in Costituzione. “I costi annuali sono gli stessi che servirebbero a costruire il ponte sullo Stretto – afferma l’assessore all’Economia della Regione Siciliana, Gaetano Armao, che è tra i promotori dello studio – e il ponte abbatterebbe notevolmente i costi di insularità”. Il via libera alla valutazione di questi costi arriva tra l’altro proprio a ridosso dell’approdo in aula del ddl costituzionale, d’iniziativa popolare, per introdurre in costituzione il riconoscimento del grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità. Una condizione che riguarda in Italia molte persone: sono circa 6 milioni i cittadini – in pratica il 10% degli italiani – che vive su un’isola, grande come Sicilia e Sardegna o piccola come Ventotene
I dettagli dell’analisi
Lo studio, attraverso modelli econometrici e valutazioni, segue due diversi approcci metodologici per il calcolo dei maggiori costi dovuti all’ “essere isola” della Sicilia. Il primo valuta gli elementi che determinano lo sviluppo di un territorio legati ai fattori “dimensione”, “distanza” e “vulnerabilità”, misurati nell’arco di venti anni, e arriva a stimare un costo di 6,54 miliardi. La seconda valutazione, solo leggermente più contenuta, è realizzata in termini fattuali, misurando i soli maggiori costi dovuti ai trasporti che penalizzano gli operatori economici e i vari settori di attività: il costo in questo caso è pari a 6,04 miliardi di euro, pari al 6,8% del pil regionale. L’importanza della stima è dovuta al fatto che, pur essendo lo studio promosso dalla Regione Sicilia, è stato condiviso dalla commissione paritetica tra Stato e Regione, che è un organo di vigilanza costituzionale. Questo, chiaramente, apre le strade a forme di compensazione, che in parte già esistono, come ad esempio il finanziamento ai collegamenti aerei cosiddetti di ‘continuità territoriale’ per ridurre il costo dei biglietti. “Chiaramente impossibile pensare di azzerare i costi, chiedendo 6 miliardi, a occorre uno sforzo – dice l’assessore Armao – Un articolo della legge di Bilancio che è in arrivo stanzia per noi 100 milioni. Ci potrebbe essere una fiscalità di sviluppo, ad esempio prevedendo un abbattimento delle imposte per le nuove iniziative territoriali, o discipline ad hoc per attrarre pensionati, che ora invece sono limitate solo a cittadini stanieri. La cosa più importante è iniziare un percorso”.
Il vero nodo
Ma il vero nodo rimane il Ponte sullo Stretto. “La commissione del ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili – ricorda Armao – ha spiegato chiaramente che Messina e Reggio Calabria sono distanti circa 4 chilometri che, però, a parità di costi e di tempo, equivalgono a 300 chilometri sulla terraferma. E’ chiaro che il ponte abbatterebbe rapidamente i costi dell’insularità, riducendo lo svantaggio. E, a guardare la stima fatta, è come se perdessimo ogni anno l’intero costo per costruire il Ponte”. Anche perchè, è vero che le risorse del Pnrr non possono essere utilizzate per la costruzione del Ponte visto che sono finalizzate ad opere da realizzare in pochi anni, ma – spiega Armao – “arriveranno per altre strutture 40-50 miliardi nell’area e sembra impossibile pensare che non si trovino le risorse per il ponte”. Lo studio arriva comunque in un momento particolare per la valutazione di insularità. Proprio domani approda in aula al senato il progetto di modifica costituzionale per inserire la norma in Costituzione, che nasce da un’iniziativa della Sardegna ma a cui guardano con interesse tutte le altre amministrazioni isolane italiane. “Sono tantissimi i cittadini che vivono nelle isole – spiega l’assessore siciliano – e ci vorrebbero interventi come quelli del Portogallo per le Azzorre o Madeira, o come la Spagna per le Baleari”.