Beni per due milioni di euro sono stati sottratti alla mafia e restituiti allo Stato. Il Gico della guardia di finanza di Palermo ha compiuto tre diverse operazioni di confisca ai danni di altrettanti appartenenti a Cosa nostra, fra cui Salvatore Messina Denaro, fratello del superlatitante Matteo, in esecuzione dei provvedimenti emessi dalle sezioni misure di prevenzione dei tribunali di Palermo e Trapani. Gli altri destinatari sono Francesco Paolo Barone, uomo d’onore della famiglia di “Pagliarelli”, e Antonino Baratta, considerato imprenditore “a disposizione” della famiglie di Caccamo e San Mauro Castelverde.
Salvatore Messina Denaro è stato arrestato nell’operazione “Golem 2” nel marzo del 2010 in quanto ritenuto reggente della famiglia di Castelvetrano. A lui sono stati sottratti: la società “Ari Group srl” con sede a Castelvetrano attiva nel settore del “commercio effettuato per mezzo di distributori automatici”, valore 100 mila euro corrispondente alle quote intestate a Maurizio e Antonino Arimondi; due terreni a Campobello di Mazara (valore 15 mila euro) entrambi intestati ad Antonella Cascio; una Mercedes A 180 (valore 12 mila euro) intestata sempre ad Antonella Cascio; 195 mila 254 euro, contenuto del conto corrente intestato alla Cascio. Il valore complessivo dei beni sequestrati a Salvatore Messina Denaro è di 322 mila 262 euro.
Francesco Paolo Barone, morto nel dicembre 2008, arrestato nel 2002 nell’operazione del Gico chiamata “Cantiere aperto” che ha rivelato la diffusione capillare del pizzo a Palermo. Accusato di associazione mafiosa ed estorsione, aveva intestato i beni a sua moglie Rosaria Lombardo e alla figlia Maria. A Palermo, nella zona Villaggio Santa Rosalia, sono stati confiscati: un appartamento in via Volontari del sangue (valore 240 mila euro); un immobile e un magazzino in via Roccella del valore complessivo di 70 mila euro; un locale, sempre in via Roccella, da 60 mila euro. Complessivamente si tratta di 370 mila euro.
Infine, Antonino Baratta di Termini Imerese, 64 anni, arrestato nel 2002 per il favoreggiamento della latitanza di Bernardo Provenzano e per i rapporti intrecciati, tra l’altro, con Nino Giuffrè, capomafia di Caccamo passato nelle fila dei collaboratori di giustizia. Baratta è stato condannato con sentenza definitiva per furto e omicidio colposo. A lui sono state sottratti: la ditta individuale Cala Maria con sede a Prato attiva nel settore “compravendita immobili – costruzioni di edifici, strade e impianti sportivi” per un valore di 285 mila euro; il capitale sociale della “Ba.Is. srl Sicilia” con sede a Termini Imerese, che si occupa di “lavori generali costruzioni edifici”, valore mille euro; tre appartamenti a Termini, via Palazzo Cirillo, per un valore complessivo di 683 mila euro; un fabbricato e un terreno a Collesano dal valore, rispettivamente, di 180 e 155 mila euro; un autocarro Iveco (valore 18 mila euro); conti correnti e libretti di deposito per 32 mila 426 euro. Tutti i beni erano formalmente intestati alla moglie, Maria Cala, residente a Prato.