Stava sorseggiando la sua tazza di the al bancone di un bar all’angolo tra via Vittorio Veneto e Via Firenze. Il sole era calato già da un paio d’ore a Catania. Quale modo migliore per passare inosservati. Il maresciallo Alfredo Agosta, quella sera (esattamente) di quarant’anni fa, stava incontrando uno dei suoi ‘confidenti’. Certo non poteva immaginare che il suo informatore sarebbe stato bersaglio di un commando di fuoco.
Due uomini incappucciati sono entrati nel locale e hanno cominciato a sparare. Fucilate. Il carabiniere ha cercato di reagire. Uno dei killer ha pensato che fosse armato e lo ha ferito al fianco. Un colpo fatale. Sono passati quarant’anni da quella carneficina. Accanto al corpo del maresciallo c’era Franco Romeo, imprenditore nel settore dell’abbigliamento e uomo vicinissimo al padrino di Cosa nostra Nitto Santapaola.
Non si è mai arrivati, nonostante il pentito Filippo Lo Puzzo si sia autoaccusato di essere “uno dei partecipanti all’azione criminosa”, a condannare mandanti e sicari. Ma la sentenza penale del 1990 del giudice istruttore del Tribunale di Catania (Luigi Russo) ha messo un punto nella ricostruzione: “Il Maresciallo Maggiore Alfredo Agosta, che si trovava all’interno del bar in compagnia del pregiudicato Rosario Francesco Romeo, suo informatore e confidente nello svolgimento di delicate indagini di polizia giudiziaria, è stato barbaramente ucciso per il fatto di aver tentato di reagire al commando armato trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Conclusioni riassunte in un’ordinanza del Tribunale civile che sancisce come il carabiniere sia “una vittima di mafia”.
L’omicidio di Franco Romeo sarebbe stato organizzato nella cruenta guerra di mafia tra i Santapaola (che avevano ottenuto con la benedizione dei corleonesi) il trono di Cosa nostra a Catania e i fedelissimi di Alfio Ferlito (ucciso nella strage della Circonvallazione a Palermo che non aveva mai accettato la leadership di Nitto Santapaola).
In un vecchissimo rapporto di polizia giudiziaria del 1999 si riassumono i momenti concitati delle indagini, le testimonianze raccolte dopo la scoperta dei due cadaveri, l’analisi della scena del crimine. L’assassinio di un carabiniere ha mosso una macchina investigativa non da poco: tutti i boss dell’epoca a piede libero sono stati oggetto di ‘guanto di paraffina (oggi stub)’ e di ‘perquisizioni’. Purtroppo tutte le piste portarono ad esito negativo. Solo ‘le fonti confidenziali’ dei carabinieri hanno permesso di inquadrare quell’omicidio nella sanguinaria faida di mafia. Quelle soffiate portarono a identificare mandanti e killer tra le file dei Pillera – Salvatore Pillera era uno dei delfini di Alfio Ferlito – che avrebbero voluto vendicarsi di due delitti. Non di meno Lo Puzzo – condannato in sede civile a risarcire i familiari del maresciallo ucciso – è stato un soldato dei Di Mauro-Puntina, storici alleati dei Pillera.
Tutti i pezzi del mosaico portano a quel quadro mafioso: la contrapposizione storica tra Santapaola e Ferlito. Il Maresciallo Agosta ne è rimasto coinvolto. Ma lui era consapevole dei rischi legati alla scelta di indossare la divisa di Carabiniere. E quel rischio si è materializzato una sera di quarant’anni fa.