Palermo, morte in Vucciria: lite per lo specchietto o "vendetta mafiosa"

Palermo, morte in Vucciria: lite per lo specchietto o “vendetta mafiosa”

Secondo l'accusa, Emanuele Burgio fu vittima di un agguato dalla modalità mafiosa

PALERMO – Cosa c’è dietro l’omicidio di Emanuele Burgio, avvenuto l’anno scorso alla Vucciria, per cui in tre hanno ricevuto nei giorni scorsi l’avviso delle indagini. Una banale lite degenerata oppure un regolamento di conti o addirittura una vendetta maturata nel sottobosco della droga?

Modalità mafiosa

La Procura di Palermo contesta a Matteo, Giovan Battista e Domenico Romano l’aggravante della modalità mafiosa. I pubblici ministeri ritengono che quello del 31 maggio dell’anno scorso si stato un agguato. Tesi respinta con forza dai legali delle difese.

Gli indagati hanno tirato in ballo la storia della lite avvenuta due settimane prima. Giovan Battista Romano era stato colpito con una testata da Burgio. C’era stata una lite con lo zio di quest’ultimo per via di un colpo dato con il braccio contro lo specchietto della macchina in una stradina del Borgo Vecchio.

Il verbale

“Questo Emanuele scende al Borgo, si prende mio figlio a braccetto – spiegò Domenico Romano nel corso dell’interrogatorio – e gli dice prima ‘ti posso parlare Gianni’ dice ‘certo, parla qua’, ‘no allontaniamoci un po”. Se lo prende a braccetto, senza che mio figlio si aspetta niente, e gli dà una testata in faccia per il discorso dello zio del giorno prima”.

“Dottore ci giuro”

Domenico Romano spiegò che erano andati alla Vucciria per bere una birra e non per cercare vendetta. Incontrarono Burgio che, invece, voleva lo scontro: “Dottore ci giuro ai miei figli, e mi creda veramente, perché poi dai video si vede, l’ho supplicato per dieci minuti: ‘Ti prego, ti supplico, Emanuele, ma perché stai facendo così’, perché ci diceva parole: ‘Vi staccu i tiesti, un vi fazzu nesciri ri rintra, vi stacco i tiesti e ci iuocu a pallone, vengu u Borgo e vi staccu i tiesti siti malicumminati'”.

La vittima, però, “si butta indietro, si mette in posizione della lotta che fa lui e io gli rispondo: ‘Manuè, ti stai buttando indietro pure con me, io ti sto priannu, ti sto supplicannu, ci vuole picca e mi metto puru in ginocchio…”.

I colpi di pistola

“Ho sentito una mano, io mi sono girato e ho visto… ‘No, Matteo, statti fermo’ – proseguiva nel resoconto della drammatica notte – e ho cercato di bloccarlo e di pararlo, l’ho cinturato pure. Io guardavo mio fratello negli occhi, lui ha subito tanti traumi, è venuto a mancare mio papà e lui era piccolo, è venuto a mancare mio fratello e lui ci teneva tanto perché dormivano insieme”.

Il fratello ritrovato nel bagaglio di un’auto

Matteo e Domenico Romano sono fratelli di Davide, assassinato nel 2011. Il suo corpo fu trovato, nudo con mani e piedi legati, nel bagagliaio di una Fiat Uno abbandonata in via Michele Titone, nella zona di Corso Calatafimi. Uno dei delitti irrisolti di questa città. Dietro l’omicidio ci sarebbe stata la voglia di emergere di Romano nel mondo della droga.

Ed è nella droga che secondo gli investigatori andrebbe rintracciato il movente del delitto di Emanuele Burgio che potrebbe avere pestato i piedi a chi non doveva. Era figlio di Filippo Burgio, uomo del boss Gianni Nicchi che piange in carcere la morte di un figlio. Vittima di un agguato, secondo l’accusa.


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