Ti racconto Palermo. E comincio da oggi. Siamo nell’intercapedine tra l’estate e l’autunno. Non farti ingannare dalla prova muscolare della pioggia. E’ un allenamento per novembre. Ma da adesso in poi ogni bagno a mare diventa una prova di fede. E’ facile sperare a luglio con la certezza del sole. Ora ti alzi e scruti il cielo. Ora provi la vera contentezza per l’assenza delle nuvole, se appartieni alla stirpe degli spiriti chiari. Perché non è più detto. Non è concesso. Non è garantito il mare, se il mare ti piace, se sei della specie dei figli delle conchiglie. Il mare è una scoperta, una scommessa. Ora, quando ti tufferai con la sensazione di avere rubato un’altra pepita al buio, sarai veramente felice. La gioia dell’acqua non è mai data dalla sicurezza di possederla, ma dall’ebbrezza di sbatterci addosso. Questo accade se sei uno scoglio coperto di alghe, capitato per caso nella pelle di un uomo. I palermitani che amano il mare e l’estate sono buoni. I palermitani che preferiscono l’asfalto e l’inverno dovrebbero confinarli in un centro commerciale, con le mortadelle di plastica e gli articoli per il cesso appesi alla stessa parte di color giallino vomito.
Ti racconto Palermo, addirittura spaventata e colpita dalla prima pioggia. Nessuno esce di casa. I fremiti della pozzanghera vengono affidati a Facebook. Sulle pagine virtuali sbocciano ombrelli neri e faccine preoccupatissime. Dio mio, piove, che sarà di noi? Piove sulla fragilità dei palermitani che in ogni cosa vedono ormai il riflesso di un destino arcigno, tanto sono malandati. Amo l’estate, però non odio la pioggia, la malinconia della pioggia, la tenerezza dei colori che soffoca. La pioggia è un lampo di grembiuli della scuola elementare alla ripresa in autunno. L’odore della classe. Il verde dei banchi. Il naso attraversato dalla polvere di gesso. L’incerta calligrafia sui quaderni e sulla lavagna. Il primo approccio con la scrittura e con la lettura. Si può amare l’estate e non odiare la pioggia. Comunque non uccide. E’ pioggia.
Spot. Al supermercato si vende di tutto. Noi abbiamo trovato Padre Pio. Un cero poggiato sullo scaffale, accanto a una confezione con la scritta “Barbecue” e pezzi di stagnola. Quanto costa la protezione in alto loco in era di crisi?
Sì, piove. Ti racconto ancora Palermo bagnatissima, affogata nel suo presente. Non è l’immanenza dell’acquazzone a farci male. E’ che ormai non crediamo più che domani possa ritornare il sole. Ti racconto Palermo sott’acqua, con le persone che somigliano ai pesci presi nella rete o nella corrente. Camminano veloci, come per liberarsi con uno strappo dal gorgo o dalle dita del pescatore. Lo sforzo produce fatica e tristezza. C’è la sensazione disperata della tonnara. Per quanto uno si agiti, la salvezza non arriverà. L’unica scelta? Tentare di morire comodi.
Ti racconto Palermo con le Paralimpiadi. In tv trasmettevano una partita di calcio a cinque giocata dai ciechi. All’inizio ho provato pena, poi dolcezza, poi meraviglia. Erano ciechi e giocavano meglio di Bertolo. Si affiancavano al bordo del campo per toccare un riferimento, un punto di partenza. Scattavano verso la porta, sentendo il suo profumo e le grida dell’allenatore. Uno ha segnato un gol bellissimo a un portiere che ci vedeva. Se n’è accorto per l’abbraccio dei compagni.
Che c’entrano i ciechi con Palermo? C’entrano. Se i ciechi fanno gol, nulla è impossibile. Non so se si capisce la speranza che è la colonna sonora dell’abisso. Tutti sono bravi col mare di luglio. Difficile è tuffarsi sotto la pioggia. Tutti sanno guardare il cielo sopra la testa e mormorare parole d’amore e d’incanto. Difficilissimo è guardare il cielo e amare, quando il cielo non c’è.