PALERMO – Una donna morì di epatite C a Palermo, il figlio ottiene 800mila per il risarcimento dei danni dopo un lungo contenzioso giudiziario. La sezione civile della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato definitamente il ministero della Salute. È passata la linea dell’erede della vittima, assistito dall’avvocato Sergio Perna.
Il contenzioso è iniziato nel 2008. Nel 1971 la donna partorì all’ospedale Civico di Palermo. Fu necessaria una trasfusione per alcune complicazioni. In quell’anno l’epatite C nelle letteratura scientifica era ancora ignota. Lo sarebbe diventata soltanto nel 1989. Ed è su questo che puntava il ricorso del ministero.
La Cassazione ha confermato un orientamento consolidato: il ministero è responsabile per omessa vigilanza e controllo sulle sacche di sangue nel territorio nazionale. All’epoca non veniva effettuato alcun controllo o screening preventivo sui donatori. Ad esempio lo studio dei parametri ematici che avrebbero rivelato eventuali problemi epatici o l’anamnesi dei donatori.
“Già dalla fine degli anni ’60 – sottolineano i supremi giudici – era noto il rischio di trasmissione di
epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno”. Da qui la condanna al risarcimento dei danni.