PALERMO – “Sconcertante contesto”, lo definiscono i pubblici ministeri. Il mondo sanitario resta sotto osservazione. L’arresto del tecnico di radiologia Cosimo Leone dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo è solo una spia del lavoro investigativo.
C’è un “circuito che si va passo passo svelando, nonostante la pressoché totale omertà che ancora oggi – scrivono i pubblici ministeri – a distanza dì pochi mesi dalla morte del capomafia, avvolge come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla sua figura, ai suoi contatti, ai suoi spostamenti ed alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità”.
Non si parla solo dei silenzi di quanti a Campobello di Mazara, ma anche a Palermo, hanno visto e incontrato il latitante. Secondo i pubblici ministeri di Palermo, “si tratta di un’omertà trasversale che di fatto, allo stato, ha precluso di avere spontanee notizie anche all’apparenza insignificanti”. Quindi l’affondo: “Nessun medico, operatore sanitario o anche semplice impiegato di segreteria che abbia avuto contatti con Messina Denaro Matteo ha ritenuto di proporsi volontariamente per riferire alla autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria di essersi occupato, a qualsiasi titolo, del latitante o comunque rivelare quanto appreso direttamente, o anche solo indirettamente, sulle cure prestate all’importante capo mafia”.
Si spacciava per il geometra Andrea Bonafede. Molti ci saranno cascati, ma altrettanti conoscevano la sua reale identità. La rete di fedelissimi che faceva capo alla famiglia Bonafede aveva anche, e soprattutto, “diramazioni nella sanità pubblica”.
Il 3 novembre Messina Denaro si è sottoposto in uno studio privato, a Marsala, ad una colonscopia che ha svelato la presenza di un tumore. Da lì è cambiato tutto, ha deciso che doveva diventare Andrea Bonafede per accedere negli ospedali. La progressione temporale desta sospetti in una terra come la Sicilia che spesso non brilla per la celerità della risposta sanitaria: il 6 riusciva a farsi visitare da un chirurgo dell’ospedale di Mazara del Vallo (lo ha accompagnato Andrea Bonafede, l’operaio comunale), il 9 novembre era già ricoverato (il medico di base Alfonso Tumbarello però il giorno prima della visita in ospedale aveva già predisposto la richiesta di ricovero), il 10 ha fatto la Tac (in realtà all’inizio era stata programmata il 20, ma anticipata).
Chi ha disposto o sollecitato l’anticipazione dell’esame diagnostico di cui c’è traccia nelle annotazioni a mano in un’agenda trovata in ospedale? Di sicuro Leone fece un cambio turno. Era di pomeriggio ma si fece mettere di mattina per presenziare alla Tac. Le notizie sull’esito filtravano all’esterno grazie alle telefonate di Leone. Dopo l’intervento e le dimissioni si cambiò ospedale. Il 9 dicembre Bonafede ha accompagnato il latitante a Trapani per una visita all’ospedale Sant’Antonio Abate dove ad attenderli c’era l’oncologo Filippo Zerilli. Serviva il dischetto della Tac. Leone andò in ospedale a Mazara del Vallo a ritirarlo.
“Il quadro di connivenze in favore del latitante, fuori e dentro le strutture sanitarie – scrive il giudice per le indagini preliminari Alfredo Montalto – sta assumendo dimensioni allarmanti e imporrà ulteriori approfondimenti che saranno svolti in un contesto che fino ad ora, come già detto in premessa, non ha mostrato alcuno spirito collaborativo”.
Il blitz di ieri ha fatto scoprire un nuovo tassello di vita “normale” del boss. Gite in moto con una delle sue tante fiamme, trasferte a Palermo per comprare auto e andare in banca, persino il pagamento del bollo in tabaccheria. Per un periodo della sua vita si è spacciato per l’architetto Massimo Gentile, ma ci sono altre identità da analizzare.