PALERMO – Li unisce, loro malgrado, il dolore. Li divide, da sempre, la sofferta elaborazione del lutto e al contempo il modo di impegnarsi nella sacrosanta ricerca della verità. In Salvatore Borsellino sono sfociate in una militanza che assume sempre più i tratti di una solitaria crociata antimafia.
“Passerella antimafia”
Per ultimo se l’è presa con la “Fondazione Falcone” e il “Centro studi Paolo e Rita Borsellino” che hanno deciso di aderire alla “passerella”, così la definisce, organizzata dal 17 al 19 luglio dall’Agenzia italiana per la gioventù in concomitanza con le iniziative delle “Agende Rosse”, il movimento di cui Salvatore Borsellino è l’ideatore e l’anima.
Gli ha risposto Maria Falcone, sorella del magistrato assassinato nella terribile estate del 1992: “Il miglior modo di considerare le cicliche dichiarazioni e attacchi di Salvatore Borsellino è ignorarli“.
Un uomo contro tutti
Salvatore Borsellino è un uomo contro tutti. Negli anni si è consumata una profonda spaccatura in seno alla sua stessa famiglia. I figli di Paolo – Fiammetta, Lucia e Manfredi – dopo anni di rispettoso silenzio hanno mosso condivisibili critiche nei confronti di certa magistratura che ha avallato le bugie dei falsi pentiti sulla strage di via D’Amelio.
Si processano e si indagano sempre e solo poliziotti. La magistratura, requirente e giudicante, era distratta per accorgersi delle panzane di un balordo come Vincenzo Scarantino. A un certo punto Fiammetta Borsellino ha deciso che non era più la stagione del silenzio. I colleghi del padre ricordavano “Paolo” senza avere sentito l’urgenza di chiedere scusa per i processi farlocchi.
Poi sono arrivati gli anni della trattativa Stato-mafia, considerata come la spiegazione di ogni nefandezza. I figli di Paolo hanno atteso il verdetto. È andata com’era prevedibile che andasse.
I figli di Paolo
I figli di Paolo Borsellino hanno attaccato il dogma dell’infallibilità di una certa parte della magistratura che ha colpevolmente tralasciato la pista del dossier “mafia e appalti”. È stato uno spartiacque. Dopo avere disertato le passerelle delle commemorazioni, i Borsellino hanno chiesto alla magistratura di assumersi le proprie responsabilità.
Salvatore Borsellino non ha gradito, lui che della militanza al fianco dei magistrati ha fatto la cifra della sua vita. Non ha gradito che Fabio Trizzino, marito di Lucia e costituito parte civile per i familiari nei processo, osasse solo pensare che la magistratura avesse guardato dalla parte sbagliata.
Che il legale in aula facesse i nomi dei campioni in toga dell’antimafia “che hanno abdicato alla loro funzione di controllo e di vigilanza sull’operato degli investigatori lasciati liberi di scorrazzare nel campo della illegalità”. Quelli che scrivono libri e parlano in pubblico, come se fossero i depositari della verità.
Salvatore Borsellino lanciò la sua bordata, spingendosi a ipotizzare che i nipoti fossero eterodiretti, ventriloqui di “qualcuno che li consiglia”, “probabilmente tra i Ros” e cioè i carabinieri che sul dossier “mafia e appalti” stavano indagando.
Gli stessi carabinieri un tempo guidati da Mario Mori, il generale assolto per la Trattativa e per tutte le altre accuse. Le assoluzioni non bastano, però.
Ora l’ennesimo scontro fra Salvatore Borsellino e Maria Falcone alla vigilia del trentaduesimo anniversario della strage.