PALERMO – La Cassazione respinge il ricorso straordinario. Stefano Marino si era giocato l’ultima carta. Niente da fare. Resta definitiva la condanna a 20 anni di carcere, dove è tornato nel 2019.
Cognome noto il suo nella mafia di Brancaccio. Nel 2008 sfuggì per alcuni mesi alla cattura nel blitz degli agenti della Squadra mobile, del Servizio centrale operativo e del Fbi che arrestarono più di sessanta persone. Erano i giorni dell’operazione ‘Old Bridge’.
Cosa Nostra aveva riattivato il “vecchio ponte” con i boss emigrati negli Stati Uniti. Marino era accusato di numerose estorsioni e di avere mantenuto i contatti con esponenti di rilievo di famiglie mafiose di diversi mandamenti.
Lo arrestarono nell’estate successiva. Era latitante, ma al mare con moglie e figli. Gli agenti della sezione Criminalità organizzata lo scovarono in una villetta ad Altavilla Milicia. Una volta finita di scontare la pena, Marino si era messo in affari nel settore dei servizi funebri.
Nel 2017 gestiva un’impresa in nero in corso dei Mille, “Onoranze funebri l’Orchidea”. Nei guai giudiziari finì anche il fratello Michele che sta scontando una condanna a 14 anni.
Nel 2019 Stefano Marino si era messo d’accordo con una banda di spaccaossa. I mafiosi incassavano una percentuale sui finti incidenti organizzati con gente disposta a farsi fratturare gambe e braccia pur di incassare gli indennizzi delle compagnie di assicurazione.
Nel ricorso straordinario Marino contestava il fatto le intercettazioni effettuate con il virus trojan fossero transitate da un server privato e non dagli uffici della Procura. Secondo i supremi giudici, si è trattato di una “una mera percezione di flusso”. Il ricorso è dunque infondato.