PALERMO – Il suo profilo Facebook mostra le bianchissime spiaggia di Santo Domingo. Basta cercare “Giò Costi” per scoprire i luoghi dove Giovanni Costa aveva scelto di trascorrere la sua dorata latitanza. Da Villabate alla Repubblica Dominicana, passando per Bologna. Una vita, dicono gli investigatori, a riciclare montagne di denaro sporco. Cifre da capogiro. La latitanza di Costa è finita. I poliziotti bolognesi, in collaborazione con lo Sco, il Servizio Centrale Operativo, l’interpol e la polizia di Frontiera, lo hanno arrestato a La Romana, terza città del paradiso caraibico. Deve scontare 12 anni di carcere. Gli ultimi dei quali con l’accusa di riciclaggio e bancarotta sono diventati definitivi alcuni mesi fa.
Dentro la lavatrice di Costa erano finiti i piccioli del clan mafioso che proteggeva Bernardo Provenzano e quelli di Giovanni Sucato, il mago dei soldi che a Villabate era nato. Nei primi anni Novanta la sua villetta nel paese in provincia di Palermo era diventata meta di pellegrinaggio. La gente vi arrivava con i risparmi di una vita. Sucato prometteva la magia dell’impossibile: raddoppiare i soldi senza alcuno sforzo. E gli affari andavano talmente bene che fu costretto ad aprire un’agenzia in via Mariano Stabile, nel cuore di Palermo dove si narra che le banconote riempissero i sacchi abitualmente usati per la spazzatura. Un’illusione, una grande truffa quella di Sucato che nel 1996 fu ritrovato, bruciato, dentro la sua macchina lungo la superstrada Palermo-Agrigento nei pressi del bivio per Bolognetta. Si diceva che avesse truffato persino i mafiosi.
I guai giudiziari di Cosa lui iniziarono nel 2001, quando alcuni pentiti dissero che aveva ripulito 900 miliardi di vecchie lire. Erano i soldi del boss Pietro Aglieri e del clan di Porta Nuova. Costa aveva risposto signorsì a Salvatore e Vincenzo Montalto, capimafia di Villabate. Nel 2004, scattò la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Bologna, per 5 anni, e il sequestro dei suoi beni. Un impero costituito dal cantiere navale ‘Mochi Craft’ di Pesaro, dalla controllata ‘Poliver’ di Fano, società immobiliari, assicurative e di costruzioni. Era pure titolare di diversi appartamenti nel villaggio turistico ‘Portorosa’ a Furnari, nel Messinese, ma anche a Vulcano e nella stessa Villabate.
Nel settembre del 2010 l’Espresso lo scovò a Santo Domingo e raccolse una serie di dichiarazioni che tiravano in ballo l’allora presidente del Senato, Renato Schifani. I pubblici ministeri di Palermo avrebbero voluto ascoltarlo nell’inchiesta che coinvolge l’attuale senatore del Pdl. A luglio scorso il giudice per le indagini preliminari ha ordinato altri quattro mesi di tempo per colmare gli eventuali vuoti investigativi, respingendo la richiesta di archiviazione dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Schifani che si è sempre detto indignato dell’accostamento del suo nome alla mafia.
A tradire Costa è stata la sua passione per la bella vita, testimoniata dal fatto che la polizia domenicana e l’Interpol lo hanno bloccato all’uscita da un resort extra lusso. Di recente gli investigatori avevano registrato le sue continue richieste di denaro ai parenti che vivono ancora in Italia. Tra qualche giorno dovrebbe arrivare l’ok delle autorità per l’estradizione in Italia.