PALERMO – C’è il rischio che torni ad uccidere. Ecco perché resta in carcere Andrea B., il diciassettenne reo confesso dell’assassinio di Aldo Naro, colpito con un calcio alla tempia all’interno della discoteca Goa nel febbraio scorso.
Il no alla scarcerazione arriva dal giudice per l’udienza preliminare Salvatore Caponetto, davanti a cui si sta celebrando il processo in abbreviato. Alla richiesta di scarcerazione, avanzata dall’avvocato Maurizio Di Marco, si erano opposti i legali della famiglia Naro, gli avvocati Nino Caleca, Roberto Mangano e Pier Carmelo Russo.
Al momento l’imputato non ha mostrato di avere intrapreso il “percorso di revisione critica” dei fatti che gli vengono contestati. E così non può essere escluso il pericolo di reiterazione del reato. Un reato grave, ricorda il giudice, per cui serve un’apertura totale verso il processo di rieducazione a cui si spera approdi il giovane.
Si tratta del secondo no incassato da Andrea B., buttafuori abusivo della discoteca, che sferrò il calcio mortale al giovane laureato in medicina mentre era riverso per terra. L’imputato aveva già chiesto la sospensione del processo e la “messa alla prova”. Le motivazioni di allora ricordano quelle di oggi. L’istituto giuridico della “messa alla prova” prevede la possibilità, al termine di un percorso riabilitativo di tre anni, che il reato venga estinto.
A pesare sul no era stato il parere degli assistenti sociali, secondo cui, in questi mesi, il giovane, seppur manifestando sofferenza per quanto accaduto, erano lontano dalla retta via. Andrea B. prese la parola per ribadire quanto aveva già confessato pochi giorni dopo il delitto. Aveva cioè ammesso di avere sferrato il calcio, ma che non aveva alcuna intenzione di uccidere Aldo. Parole che secondo gli assistenti sociali confermavano la mancanza di autocritica dell’imputato. Di parere opposto l’avvocato Maurizio Di Marco, secondo cui Andrea “aveva detto la verità perché non è un assassino”.
Nei mesi scorsi l’inchiesta si è allargata. Tredici persone sono finiti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica. A cominciare da uno dei gestori del Goa, Massimo Barbaro, accusato di favoreggiamento perché avrebbe protetto il buttafuori abusivo, per finire ai ragazzi, amici di Aldo Naro e non, che parteciparono alla rissa che si concluse in maniera tragica.