PALERMO – Nel suo ufficio di Palazzo dei Normanni, dove da lì a oche ore si dovranno insediare le nuove commissioni, Giovanni Ardizzone si fa trovare con una tabella. È lo specchietto che riassume il contributo imposto dallo Stato alle regioni per il concorso al risanamento della finanza pubblica. La tabella riporta gli accantonamenti tributari delle singole regioni. Per la Sicilia sono un miliardo e 286 milioni. Cioè il 10 per cento del totale nazionale. Solo la Lombardia sborsa di più. “Regioni molto più ricche di noi, come il Veneto, il Piemonte, l’Emilia Romagna contribuiscono al risanamento della finanza pubblica con importi tra 800 e 900 milioni”, fa notare Ardizzone. Che interviene sul tema dei conti pubblici della Sicilia per lamentare l’atteggiamento “supino” verso Roma e verso quello che chiama “lo Stato-vampiro”: “Non si tratta per cose che sono dovute”.
Presidente, saranno somme dovute, ma la Sicilia non ne dispone. Come si fa a non trattare?
“È stucchevole questa continua trattativa con lo Stato su somme che sono dei siciliani. Dispiace che non si sia letta con attenzione la relazione della Corte dei conti sul rendiconto della Regione che evidenzia come vi è una costante erosione del gettito conseguente all’applicazione delle normative statali in materia di concorso della Regione al risanamento della finanza pubblica. Si tratta di somme che sono abbondantemente sopra il miliardo e 400 milioni di disavanzo”.
A quali somme si riferisce?
“Intanto questo contributo chiesto alla Sicilia per risanare la finanza pubblica, altissimo, che non tiene conto della capacità contributiva di ciascuna regione. Poi c’è l’erosione del gettito di imposta spettante alla Regione. Nonostante l’articolo 36 attribuisca alla Sicilia tutte le entrate tributarie erariali riscosse nel territorio, lo Stato ha progressivamente incamerato parte crescente di questo gettito, con una perdita di entrate per la Sicilia di circa 250 milioni. Solo il 60 per cento dell’Irpef prodotta in Sicilia è trasferita alla Regione. Questi sono i primi due aspetti. C’è poi una terza questione”.
Quale?
“La compartecipazione al fondo sanitario regionale. Sino al 2006 la compartecipazione regionale alla spesa sanitaria era pari al 42,5 per cento. Nel 2007 siamo saliti al 49,11. Questo doveva essere compensato dall’assegnazione alla Regione di una percentuale del gettito delle accise sui prodotti petroliferi, previsione che non è mai stata attuata. Il risultato? Un aggravio di spesa per le casse regionali di circa 600 milioni di euro annui. Questo è lo Stato-vampiro con cui trattiamo?”.
E quale sarebbe la soluzione secondo lei?
“Dire: dovete darci quello che ci spetta. Non chiedere concessioni”.
E se lo Stato dice no?
“C’è una debolezza politica da parte della classe dirigente siciliana. Io non tratto su cose che ci sono dovute. Il Parlamento deve prendere coscienza delle proprie potenzialità. Se persistono resistenze da parte dello Stato, facciamo un bilancio considerando che questo miliardo e 400 milioni ci sia. Poi ce la vedremo davanti alla Corte Costituzionale”.
Le pare che nella politica siciliana ci sia l’intenzione di fare una cosa simile?
“L’ho detto, c’è una debolezza politica. I parlamentari nazionali eletti in Sicilia facciano il loro dovere fino in fondo e in quel caso boccino la finanziaria nazionale”.
Lei qualche giorno fa ha detto che di fronte allo stallo delle istituzioni regionali forse è meglio andare a votare. La pensa ancora così?
“Confermo che se non diamo risposte chiare alla Sicilia è meglio andare a votare. Il problema è la debolezza nei confronti del governo nazionale in considerazione del fatto che i nostri parlamentari nazionali non ci tutelano. Siamo aggrediti dal governo nazionale che approfitta della debolezza politica e delle miserie umane legate al problema di un assessore in più o in meno. È questo il vero problema: il rapporto con Roma, alla quale interessa mantenere una classe dirigente locale debole e supina”.
In questo però Roma si fa forte del pantano in cui resta invischiata la nostra politica. Basta guardare allo spettacolo legato al rinnovo delle commissioni (l’intervista si svolge prima del voto con cui ieri Pd e Sicilia Futura hanno fatto il pien di presidenze, ndr), con tutto ciò che si è visto dentro e fuori l’Ars. Su questo lei ha forzato la mano ai partiti. Perché?
“A questo riguardo, io ho un obiettivo: il rispetto dello Statuto e del regolamento, che prevede il rinnovo ogni due anni delle commissioni. Se avessi dovuto aspettare le indicazioni dei partiti avremmo impiegato più di una legislatura”.