PALERMO – L’anno è finito ma non il calvario di una legislatura maledetta. Che continua a riservare scivoloni e figuracce. L’ultima ieri, con il governo che va ancora sotto, impallinato dai franchi tiratori su un emendamento che riguardava Riscossione Sicilia. L’ennesimo capitolo di una macelleria politica senza fine, che vede un presidente della regione e il suo governo fatti sistematicamente a pezzettini da una maggioranza litigiosa, disunita, priva di un qualsiasi progetto e tenuta insieme con lo sputo. Una coalizione tenuta in vita solo dall’istinto di sopravvivenza e dal sublime amore per la poltrona dei deputati dell’Ars. Riesce però difficile credere che Rosario Crocetta ancora non si renda conto di tutto questo.
L’ennesimo rimpasto, con i suoi riti, le sue trame e le sue piccole beghe avrebbe dovuto blindare maggioranza e legislatura per consentire una navigazione meno tormentata al governo. I fatti stanno raccontando una storia ben diversa. Anche questo tentativo è fallito. L’Ars si dimena tra la paralisi e le imboscate. Una settimana fa il governo è andato miseramente sotto sul Dpef e si è dovuto assistere a tristi pantomime con gruppi di maggioranza che si giustificavano spiegando che pensavano che si sarebbe votato a un’altra ora. Ieri maggioranza ancora in frantumi, con franchi tiratori in azione a impallinare quella Riscossione Sicilia avamposto del cerchio magico con alla guida l’eterno assessore mancato Antonio Fiumefreddo. Che ora parla di libri in tribunale e di settecento dipendenti a rischio.
Perché dietro l’angolo della macelleria politica c’è sempre il rischio della macelleria sociale. Quella che hanno conosciuto in mesi tragici i lavoratori della formazione professionale. E che si è fin qui evitata in zona Cesarini e rifugiandosi in corner per altri eserciti di clientele storiche, dai forestali ai precari degli enti locali, sempre appesi a un filo, sempre salvati maldestramente e all’ultimo secondo utile con contorni di spregiudicate promesse che si sciolgono puntualmente come neve al sole.
C’è da chiedersi come il presidente della Regione non riesca a vedere ciò che è evidente. E cioè che la Sicilia non ha più governo, non ha più maggioranza, non ha più nei fatti un parlamento vista la desolante inattività della costosa Assemblea regionale, che legifera a ogni morte di papa. Non c’è un progetto, non c’è la politica, non c’è nemmeno il coraggio di mettere la faccia su questa avventura picaresca, basti guardare al balletto ormai comico di Ncd che pur di non ammettere alla luce del sole di andare a braccetto con Crocetta insiste sullo spartito farsesco del negare di essere in maggioranza.
Tutto si è tentato per rimettere in piedi una legislatura nata male. Tutto è miseramente fallito. Sarebbe ora, ma da un pezzo ormai anche questa speranza è frustrata, che Rosario Crocetta prendesse coscienza che solo una cosa gli resta da fare: andarsene. Chiudere questa sventurata parentesi di approssimazione, improvvisazione, fallimento. E’ vero come rivendica il presidente che chi vince le elezioni, seppure in modo rocambolesco, ha il diritto di governare. Ma è altrettanto vero che se chi è chiamato a governare non riesce a farlo ha il dovere di togliersi dai piedi. Crocetta non riesce a farsene una ragione? Ci dovrà pur essere qualcuno nella ristretta cerchia degli eletti che lo consigliano, un Lumia, una Monterosso, qualcuno, che lo ponga di fronte alla verità: la musica è finita.
E la viltà che nella maggioranza serpeggia celata al riparo del voto segreto riserverà al governo altri capitomboli, altra macelleria. Senza mai sfociare nell’assunzione di responsabilità di una sfiducia. Può permettersi la Sicilia questo nauseabondo copione per altri due anni?