PALERMO – Al civico 13 di piazza Europa è un continuo viavai. Chi non aveva notizie di Antonio da tempo o lo incontrava soltanto raramente a Palermo, chiede cosa è accaduto a Carrara o spera, semplicemente, che quel carabiniere ucciso davanti alla porta di casa non sia l’uomo disponibile e sorridente che nella zona tutti conoscevano.
In tanti parlano di quel sorriso, di quell’aria serena e soddisfatta che il maresciallo dei carabinieri Antonio Taibi aveva sempre avuto. Soprattutto da quando si era trasferito nella cittadina toscana: “Lì si sta bene, si vive tranquilli”, diceva agli amici del quartiere in cui era nato e cresciuto. In quel palazzo abitano ancora i genitori del carabiniere che stamattina è stato assassinato da un ex postino per vendetta. Stamattina, quando in città è arrivata la notizia, il padre e la madre di Antonio Taibi hanno preso il primo volo. “L’ultima volta che l’ho visto – racconta il titolare del panificio che si trova vicino casa della famiglia Taibi, Antonino Buscemi – mi ha raccontato quanto si trovava bene lì. Era felice, era soddisfatto del suo lavoro. E’ stato strappato a tutti noi da un gesto folle, siamo tutti sotto choc. Io l’ho visto praticamente nascere, avevo aperto da poco il panificio quando Antonio, i suoi fratelli e gli altri bambini della zona giocavano qui”.
Un’area dove una volta si trovava un campetto di calcio. E’ quello il luogo dei ricordi, il posto che ha visto nascere e crescere le aspirazioni e i desideri di Antonio Taibi e di tanti suoi coetanei. “Quel gruppetto di bambini, che avevano un’età che andava dagli otto ai quattordici anni – racconta Nino Ferrara, lo storico barbiere della zona – è indimenticabile. Sono decine gli aneddoti che mi ricordano Antonio, che non perdeva mai l’occasione di venirmi a trovare, anche da adulto. L’ultima volta, era la scorsa estate, è entrato qui in negozio, sorridente come sempre. Si trovava a Palermo per festeggiare i cinquant’anni di matrimonio dei suoi genitori. Molto legato alla famiglia, tornava in città ogni anno, almeno due volte. Non riusciamo a credere che ciò non accadrà più, è un dolore troppo forte”.