PALERMO – Angelo è un ragazzo di 30 anni laureato in architettura. Lavora come buttafuori una volta alla settimana, per guadagnare qualcosa in più ogni mese. Alle “Terrazze Excelsior”, nel pieno centro di Palermo, a pochi passi da via Cavour, aveva già coperto nove turni, ma sabato notte è successo l’imprevedibile: un gruppo di giovani si è scagliato contro di lui, sono volati calci e pugni e la sua notte si è conclusa in ospedale (clicca qui per leggere il servizio di cronaca).
È ancora ricoverato al Civico, dove i medici contano di potere sciogliere la prognosi nelle prossime ore. Quei colpi sferrati con estrema violenza gli hanno provocato un trauma cranico e piccole emorragie cerebrali, tanto da rendere necessaria in un primo momento la riserva sulla vita. Un incubo cominciato poco prima delle tre di notte, sabato, quando nel locale di via Lucifora, una traversa di via Cavour tra la Banca d’Italia e la Feltrinelli, il giovane è stato preso di mira da una comitiva a cui era stato negato l’accesso a una zona riservata del locale.
A raccontare quanto accaduto è il legale del giovane addetto alla sicurezza, in ospedale con Angelo, stamattina interrogato dalla polizia che sta indagando per ricostruire con esattezza le fasi dell’aggressione. “Il ragazzo è stato picchiato e preso a calci all’interno del locale – spiega l’avvocato Giuseppe Geraci – e non all’esterno. Un gruppo di dieci giovani con un’età compresa tra i 20 ed i 25 anni che stava già partecipando alla serata, voleva accedere al privè, per il quale c’era un ingresso riservato. Angelo si è avvicinato a loro, erano una decina. Non ha avuto il tempo di dire nulla, è stato circondato e per il solo fatto che stesse osservando quella comitiva è stato subito colpito in faccia, probabilmente per evitare che chiamasse i colleghi. Stordito, non è riuscito a difendersi, circa dieci persone si sono accanite contro di lui, l’hanno spinto contro gli arredi del locale, al punto da danneggiarli. Gli aggressori hanno infatti agito sferrando calci e pugni e utilizzando sedie e tavolini, i quali segni sono visibilissimi sul corpo del ragazzo. A quanto pare – aggiunge l’avvocato – nessuno è intervenuto in aiuto di Angelo, almeno fino a quando non è stata chiamata l’ambulanza. Lui è stato trovato a terra, il volto era una maschera di sangue. Adesso raccoglieremo tutte le testimonianze e gli elementi utili per chiarire cosa sia successo ed individuare gli aggressori, che hanno continuato a colpirlo nonostante si trovasse da solo. Basti pensare che sabato c’erano soltanto quattro buttafuori presenti e che il mio cliente si è ritrovato a dovere affrontare quelle persone potendo contare soltanto su se stesso, nonostante il locale fosse ancora pieno”.
In corso c’era la serata “In colors”, centinaia i giovani presenti. Tra questi Alessio C., che con la sua comitiva ha assistito al parapiglia: “I ragazzi che hanno aggredito il buttafuori erano già dentro, volevano accedere al privè. Ad un certo punto – racconta – è stato scaraventato su tavolini e sedie. È poi stato colpito con le gambe del tavolo, sia in testa che sul corpo. Dopo non si è capito più niente, è stato il caos. Siamo usciti tutti fuori, a quel punto è arrivata la polizia”. Lo choc e la paura in pieno centro città. E il trasporto d’urgenza in ospedale per Angelo, che soltanto dopo alcune ore è riuscito ad avvisare la fidanzata Luana, che lo aspettava a casa.
“Il suo tono della voce mi ha fatto subito capire tutto. Mi ha raccontato che era stato aggredito, che aveva dolori, lividi e ferite in tutto il corpo. Mi sono precipitata all’ospedale. Mi ha raccontato che uno dei ragazzi gli ha detto in palermitano stretto “Che m…… ci guardi?” E subito dopo l’ha colpito. Da lì la violenza più sfrenata e la nostra rabbia. È assurdo che una persona venga ridotta in questo stato mentre fa il proprio lavoro, specie se si tratta di un ragazzo come Angelo, che nonostante la sua ‘stazza’ è sempre pacifico e disponibile con tutti”. In ospedale, anche la mamma del buttafuori, Rosa: “Non abbiamo voglia di vendetta – dice – ma soltanto di giustizia. Se mio figlio fosse stato un ragazzo esile lo avrebbero ammazzato. Non è questo il lavoro della sua vita, lo fa per arrotondare. Ha il tesserino, è tutto in regola, ma lui vuole un altro tipo di futuro. Io – aggiunge – sono una ex insegnante, ho avuto a che fare coi ragazzi per 25 anni e mi piange il cuore quando intuisco la direzione che le nuove generazioni stanno prendendo. Chi ha aggredito mio figlio non avrà vita facile se agisce in questo modo, facendo della violenza la propria parola d’ordine”.