PALERMO – “A me interessava evitare lo scandalo del rapporto e dell’esistenza di un figlio”, mette a verbale Rosario Basile. Il patron di Ksm, da ieri agli arresti domiciliari, ammette davanti al pm Siro De Flammineis, di avere insistito tramite un suo dipendente affinché “la portasse a miti consigli, tra cui anche la possibilità di abortire ove fosse un modo per tranquillizzarla, soluzione da me mai esplicata in maniera netta ed esplicita ma solo ventilata”. È la paura di riconoscere un figlio nato da una relazione extraconiugale che avrebbe spinto Basile oltre il limite, fino a fare sconfinare nel penale una vicenda personale. Avrebbe ordito un piano per convincere la donna a rinunciare alla maternità.
Un piano fatto che sarebbe stato composto da pressioni, minacce e violenze. Gli investigatori parlano di “preoccupazione che il figlio potesse pregiudicare la propria situazione familiare e sociale”. Da qui “la macchinazione di fatti illeciti finalizzati a indurre la ragazza ad abortire e poi ad ostacolare il riconoscimento della paternità”. Perché l’arrivo di un nuovo figlio cambia l’assetto dell’impero economico dei Basile.
La relazione era nata nel 2013, “complice la giovane età ed avvenenza” della donna. La dipendente sarebbe divenuta l’amante di Basile. All’inizio, racconta la mamma del bimbo, l’imprenditore era gentile e premuroso. Poi, la faccenda avrebbe preso un piega diversa: “Al sesto mese di gravidanza Rosario mi disse di accettare la mia gravidanza e la sua paternità… mi disse che era sua intenzione prendersi cura del bambino. Al settimo mese Rosario cambiò di nuovo comportamento, prendendo delle scuse per non incontrarmi”.
Basile avrebbe provato a convincerla a rinunciare al bimbo con la forza del denaro: “Mi offrì molti soldi, anche una partecipazione del 5% delle sue proprietà, mi disse anche di andare dal notaio per finalizzare questa donazione”. Una donazione che non è mai avvenuta. I soldi saltarono fuori, ma con cifre molto contenute. È lo stesso Basile a riferire che “prima che contattasse mia moglie le ho dato dei soldi per ben tre volte… mille euro la prima volta e duemila la seconda”. Poche migliaia di euro per affrontare le spese sanitarie. Uno sforzo in più Basile si era detto disponibile a fare per comprare una macchina alla donna. Era pronto a pagare dieci dei quindicimila euro che servivano per l’auto. Non se ne fece più nulla, perché dalla finanziaria non arrivò l’ok al prestito richiesto dalla mamma del bimbo.
I mesi di gravidanza trascorsero fra alti e bassi nel rapporto fra i due. Fino a quando sul telefono della donna giunse un messaggio. A scriverlo, nel novembre del 2013, era un dipendente Ksm: “Rosario mi ha pregato di rientrare in Italia per vedere di sistemare questa storia tu puoi dettare le condizioni, se abortisci… chiamami ora e parliamo”. Basile, dal canto suo, sentito dai carabinieri della compagnia di piazza Verdi, ha sostenuto che quello dell’aborto era solo la soluzione estrema e che non era lui a volerla: “Abbiamo parlato (con il ginecologo che seguiva la ragazza, ndr) della possibilità di fare abortire… lei stessa mi aveva ventilato la possibilità di abortire, salvo poi cambiare idea continuamente”.
Secondo l’accusa, quando fu chiaro non solo che la donna non avrebbe abortito, ma che il figlio che portava in grembo era di Basile (una consulenza sul Dna, allegata al processo civile per il riconoscimento della paternità, parla di compatibilità al 99,9 per cento) sarebbe scattata la ritorsione dell’imprenditore. Gli investigatori annotano una scia di episodi inquietanti avvenuti nel 2014. Nel luglio del 2014 la donna si presentò in azienda per consegnare il certificato di maternità. Qui sarebbe stata accolta da Francesco Di Paola, consigliere delegato di Ksm finito pure lui ai domiciliari, che le avrebbe detto: “Tu la devi finire con questa storia del bambino… devi sparire dalla circolazione altrimenti sono guai, ti facciamo togliere il bambino dimostrando che sei un poco di buono”. Qualche mese dopo fu la sorella a denunciare che un uomo era salito a bordo della sua macchina. Le sue parole erano state minacciose: “Avverti tua sorella che sta alzando troppo polverone e dille che si deve dare una calmata se continua succede qualcosa a voi e ai vostri bambini”.
Il picco di violenza, sulla base di una denuncia della donna, sarebbe avvenuto una sera di marzo. Stava rientrando a casa poco dopo mezzanotte: “Pensavo che volesse rapinarmi, gli cedevo subito la mia borsa e le chiavi della macchina… mi ha preso per i capelli…. trascinandomi mi ha portato in un’aiuola, pioveva, ero nel fango e ha iniziato a riempirmi di calci e pugni mentre ero stesa per terra…”.