PALERMO – “Lei può riferire di mafiosi che non sono stati arrestati negli ultimi anni?”, gli chiede il pm. “Sì, sì”, risponde senza esitazione Giuseppe Tantillo. Quindi sono ancora in libertà? “Sì”, ribadisce. Il neo collaboratore di giustizia, interrogato a metà ottobre, fa i nomi dei volti nuovi di Cosa nostra. Nomi che i pubblici ministeri coprono con gli omissis. I verbali del pentito del Borgo Vecchio, mandamento di Porta Nuova, sono zeppi di personaggi su cui le indagini sono ancora in corso.
Non c’è alcun segreto da mantenere, invece, per chi in carcere c’è già finito e su cui piovono le nuove accuse di Tantillo. Fu Giuseppe Di Giacomo, reggente della famiglia di Palermo centro, crivellato di colpi nel marzo di due anni fa per le strade della Zisa, che lo volle al suo fianco: “È venuto lui e mi ha detto, mi devi aiutare, io ho fiducia di te, al Borgo non ho fiducia di nessuno”.
La scelta all’inizio era caduta su un’altra persona: “Volevano mettere a un certo…”. E anche stavolta il nome è coperto da un omissis. Tantillo, però, sa che si tratta di uno “che da minorenne ha fatto arrestare delle persone”.
La carriera di Tantillo, cognome conosciutissimo nel popolare quartiere palermitano, inizia quando Di Giacomo e Alessandro D’Ambrogio si dividevano la reggenza del mandamento di Porta Nuova che ingloba una grossa fetta del centro città. Al pentito viene mostrato un album di fotografie con i volti degli uomini di Cosa nostra ai quali i pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco hanno già attribuito un ruolo e sul cui operato Tantillo aggiunge nuovi particolari. Di alcuni dice che furono messi alla porta di Cosa nostra, derogando al principio che dall’organizzazione si esce o da morti o pentendosi.
Vittorio Lipari: “detto Emanuele, so che negli ultimi tempi, quando era uscito faceva parte del mandamento di Porta Nuova. Di Giacomo ci disse che lui era a disposizione del mandamento”.
Salvatore Gioeli: “Di Giacomo ci aveva detto che questa persona assieme ad altre persone lo stava mettendo fuori famiglia perché non si volevano mettere a disposizione per il mandamento”.
Marcello Di Giacomo: “Ci portava le ambasciate del fratello Giuseppe… per sapere dei soldi che avevamo raccolto delle estorsioni… se avevamo pagato tutti i carcerati”.
Nunzio Milano: “Di Giacomo ci diceva che lo dovevamo tenere lontano perché insieme ad altri li doveva mettere fuori dalla famiglia… di tenerlo alla larga”.
Tommaso Lo Presti: “Paolo Calcagno (indicato dagli investigatori come uno degli ultimi reggenti del clan, ndr) ci venne a prendere a Borgo Vecchio dicendo di andare in un bar… abbiamo trovato a Tommaso Lo Presti, Rocco Marsalone, e Ludovico Scurato… ci fu presentato Tommaso Lo Presti, noi conoscevamo la sua storia, che era già stato in carcere, e anche perché Di Giacomo ci aveva detto che se nel caso sarebbe venuto il Lo Presti a Borgo Vecchio a aveva bisogno di qualcosa di metterci a disposizione… per cose che riguardano cose mafiose…”.
Onofrio Lipari: “mi fu presentato da Nino Ciresi nel 2012 come esponente del mandamento di Porta Nuova, che era una persona che la sua parola contava nel mandamento… Ciresi mi spiegava che anche se era un ragazzino non dovevamo guardalo come un ragazzino ma come una persona di rilievo… Ciresi ci faceva intuire che era stato battezzato”.
Francesco Paolo Desio: “L’ho incontrato nel negozio di congelato di Paolo Calcagno che Calcagno ci diceva a me a mio fratello che lui era a disposizione del mandamento in quanto si occupasse anche di estorsioni”. Stefano Comandè: “Di Giacomo ci diceva che lui insieme a Tonino Lipari gestiva la famiglia della Zisa per le estorsioni”.