Perriera: amore e smemoratezza | "Mio padre, maestro dimenticato" - Live Sicilia

Perriera: amore e smemoratezza | “Mio padre, maestro dimenticato”

Michele Perriera (foto da facebook)

Michele Perriera manca da otto anni. La figlia Giuditta: "Palermo non ricorda".

PALERMO- “Ti scrivo da qui, in un qualunque giorno di questa città stanca e rumorosa. Sono anni ormai che non ci sei ed il tuo vuoto si è fatto sostanza. È lì, posato in un angolo, quasi nascosto, senza più la voglia di farsi ricordo. Del resto, manca il terreno per i buoni ricordi. Ora qui ci sono solo piumini e aperitivi. Si festeggia un presente lontano dalla storia, credo, immerso nel tanfo dello sterilizzante passato sopra ogni cosa. Ora sei forma di pietra, che non si può muovere. Non ha odore, non ha parola. Otto anni e sono tanti, troppi, i calci di questa città nel silenzio generale. Mi sforzo di girare le eliche del mio mulino, manca pure il vento ormai”.

Lo ha scritto Giuditta Perriera, sulla pagina Facebook della sua anima, in ricordo di suo padre Michele, nell’ottavo anniversario della morte.

Quel Michele Perriera che, dalla stessa pagina, non smette di scrutare il mondo con il suo sguardo agrodolce, un po’ obliquo, da poeta. Quel Michele Perriera, monumentale genio di Palermo, che aveva voltato la prua della sua barca verso il mare alto, non riconoscendosi nello spazio angusto di certo provincialismo. Quel Michele Perriera, fabbricante di cultura, di libri e di teatro, rimpianto da molti, ma quasi mai rivisitato nella sua città, se non in alcune ridotte che strenuamente combattono, giorno dopo giorno, per una boccata d’aria.

Giuditta ha scritto di suo padre: “Otto anni fa fu buio, ma vedevo ancora il luccichio del mare. Ora sembra che il mare sia solo un luogo da cui cercare di non affogare. Mi spiace. Mi manchi, mi manca la tua forza di non arrendersi all’ipocrita ciarlare, alla pubblica indifferenza spacciata per impossibilità di fare. Sono ancora capace di commuovermi però, davanti a chi di sé mi racconta ogni piccola o grande storia con te. Le leggo come un saluto, un abbraccio, un bacio di insensata tenerezza”.

Giuditta Perriera, davanti a un caffè, adesso, mostra due occhi che ricordano quelli di Michele, per mobilità e profondità. Le parole pronunciate sono una conseguenza delle parole scritte.

Mio padre non era solo un intellettuale – dice – era soprattutto un maestro. Oggi è un maestro dimenticato. Era una persona attiva, uno che rischiava. Uno spettacolo lo mise in scena con la sua liquidazione di insegnante. Non ci sono più maestri, né coraggiosi che rischiano. Non c’è più chi costruisca qualcosa per gli altri. Papà è stato dimenticato, dopo il primo anno, anche dagli stessi artisti. E’ stata apposta una targa, poi, sulla sua figura è calato il silenzio, forse perché era troppo libero, scomodo, intransigente, per nulla incline ai compromessi”.

Continua, Giuditta, sorseggiando il caffè: “Palermo non ha cercato di appropriarsi di mio padre, uno che faceva parte, e che parte, di questa città. Era rigoroso, capace di un amore gentile, con un intuito formidabile per comprendere gli altri. Per niente snob, come talvolta viene narrato. E’ stato il papà di tanti. Era allegro, quando voleva, per esempio con lo scrittore Benvenuto Caminiti, che era suo cugino e un amico vero, si divertivano moltissimo con il pallone e con la vita… Un lato segreto che spesso non emerge ed è un peccato. In me ha lasciato un grande vuoto”.

Intorno a quel caffè, Palermo sta continuando a girare il suo film del distacco da se stessa, il filo di una studiata smemoratezza, col suo respiro indolente, con la sua pigrizia, con la sua bellezza inconsapevole, con i suoi odori tra fragranze e putrefazione.

Giuditta ha scritto, in tanto caos, qualcosa che somiglia alle speranze dopo la pioggia: “Otto anni. Otto, il numero dell’infinito. Ed è a questa incognita forma che consegno ancora una rosa per te. Come bandiera azzurra di un eterno ricominciare”.

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