“Il caso Faraone? Ho sentito e letto tante puttanate. Qualcuno pensava forse che si potesse fare il Pd fuori dal Pd, magari cacciando chi, invece, negli anni ha dimostrato di essere coerente”. Antonello Cracolici osserva il suo partito dilaniato, tra le polemiche legate all’elezione e alla revoca del segretario regionale e ai movimenti che potrebbero portare ad alcune separazioni. “Ma tutto questo è il risultato del modello renziano calato in Sicilia. Un modello che ha prodotto solo disastri”.
E i renziani, a proposito, si stanno facendo sentire. Lo stesso Matteo Renzi, anzi, ha protestato contro la gestione del caso Faraone, mentre Luca Sammartino parla già di una nuova casa comune. Nel frattempo, pezzi del gruppo Pd all’Ars creano una ‘corrente contro le correnti’. Lei a quale pezzo di Pd appartiene?
“Io appartengo al Pd. Che deve essere uno. Appartengo a chi tifa per il Pd e lavora per costruire un partito largo e plurale. Non appartengo certamente al Pd di chi ha portato avanti negli anni questo permanente ‘dentro-fuori’. A chi, insomma, ha pensato che il Pd andasse costruito fuori dal Pd, delegittimando chi ha rappresentato una storia di coerenza nel partito”.
La famosa rottamazione, insomma.
“Ma io non mi sono fatto buttare fuori da chi ha fatto del trasformismo una pratica di vita. La rottamazione infatti è stata proprio questo: il tentativo di sostituire i rappresentanti ‘storici’, con ceto politico proveniente da altri mondi politici. Il modello renziano prevedeva insomma questo e altro”.
Altro?
“Sì: ad esempio la scelta di nascondere il partito in occasione delle elezioni. E di bollare come ‘vecchio’ chiunque ribadisse la propria storia di coerenza nel partito. Le fasi di questa deriva sono state tante, come gli esempi”.
Ce ne faccia qualcuno.
“Pensoalla prima fase del governo Crocetta, in cui si decise di lasciare fuori un pezzo del Pd. Poi ci fu una seconda fase in cui si stava dentro il governo per ottenerne i benefici, ma da fuori si demoliva la credibilità di tutti gli altri. Infine, c’è stata la tendenza a personalizzare l’azione politica: è stata la fase del leaderismo senza leader. Perché un leader non c’era”.
Dietro ognuno di questi riferimenti si intravede la figura di Davide Faraone, che è stato il ‘renziano di punta’ in Sicilia. Adesso il senatore protesta contro il Pd, affermando di essere stato ‘fatto fuori’ a causa della sua volontà di ostacolare un accordo tra i Dem e il Movimento cinque stelle. Cosa ne pensa?
“Posso essere diretto? Questa è una puttanata. O se preferisce, una stronzata. Un goffo tentativo di ammantare con ragioni pseudo-politiche una vicenda assai diversa. Solo un matto, infatti, può pensare che oggi noi possiamo allearci con i Cinquestelle. In realtà, il congresso annullato si era già annullato da solo, a causa degli abusi che si sono registrati in quella occasione. A cominciare dal fatto di negare la ragione stessa del partito, che è nel coinvolgimento dei militanti, ai quali è stato impedito di dire la loro”.
Faraone parla di ‘cacciata’, e in tanti protestano, minacciando anche di andare in tribunale.
“Vede, la storia del congresso siciliano del Pd è un po’ come la marcia di Faraone sulla Ragusa-Catania: per molti il Pd è un partito fatto da singoli che non fanno nulla per la società, che non mobilitano la gente, ma cercano solo un titolo sul giornale. Di fronte a chi annuncia di rivolgersi ai tribunali, invece, rido: in occasione del congresso sono stati commessi abusi al limite del codice penale. Attenzione, quindi. I tribunali sono luoghi in cui chiunque può chiedere giustizia”.
Eppure, tra i renziani si avverte il senso di una ‘resa dei conti’ in atto.
“Quello è il solito vittimismo. Semmai, il renzismo lo abbiamo subito in Sicilia, anche in occasione della compilazione delle ultime liste per le Politiche. Ora è il momento di andare oltre, di allargare il partito”.
Non era quello che volevano fare i renziani? E allargare in che direzione?
“Dobbiamo lavorare su tutti i fronti, anche perché il momento politico lo richiede. La stagione del ‘Vaffa’ è finita, quel tempo è superato. Dopo quella fase, è arrivata la faccia feroce della politica salviniana, una destra cioè verbalmente violenta, che mostra i muscoli. Ma adesso una parte dell’opinione pubblica è spaventata: anche chi ha seguito il ‘Vaffa’ si è accorto che quello ha portato Salvini al 40 per cento. Esiste questa Italia, una Italia alternativa alla destra: il Pd deve essere al centro di un progetto che dia voce a questa gente, deve esserne il cuore: un progetto che difenda la democrazia e indichi un futuro di speranza”.
Questo Pd? Questo Pd ne sarebbe in grado?
“Certamente, servirà un Pd meno litigioso. Per anni siamo andati avanti con battaglie a somma zero: che non portavano a nulla”.
Tra i difensori di Faraone, figurano anche l’ex segretario regionale Fausto Raciti e l’ormai ex vicesegretario Antonio Rubino, che negli anni scorsi sono stati più vicini alla sua area, certamente non tra i renziani convinti. Sorpreso? Deluso?
“Guardi, io ho 57 anni. Ho iniziato a fare politica a 16. In quarant’anni ho conosciuto tante persone, tanti modi d’essere. Ma non finisco mai di stupirmi. Se c’è una cosa che mi ferisce negli uomini è l’assenza di coerenza. Si può anche perdere, in politica, ma la coerenza è segno di serietà. Anche gente che la pensa in maniera completamente opposta alla mia, mi riconosce questa qualità”.
Non si può cambiare idea?
“Certo, si può. Ma non per opportunismo”.
Lei è tra i più esperti del Pd all’Ars. Come giudica l’ennesimo stallo della scorsa settimana? Non si è riusciti nemmeno a iniziare la discussione su un collegato e l’Assemblea ha ‘chiuso i battenti’ fino a settembre…
“Lo stallo all’Ars è dovuto al governo. Un governo che non ha un progetto. Finora è esistita solo una somma di deputati: i rapporti sono stati tenuti con i singoli parlamentari, non c’è stata la condivisione di un percorso. Musumeci, del resto, dal primo giorno ha sempre voluto negare l’esistenza di una maggioranza. Ma non è vero, nemmeno dal punto di vista numerico. Sa perché ripete sempre quella cosa?”.
Perché?
“Per crearsi un alibi di fronte al fallimento di un governo che non è capace di governare: sta solo galleggiando. È un governicchio. Chi pensava che Musumeci fosse una brava persona, cosa che non metto in dubbio, pensava anche che fosse capace. Ma la Regione non è la provincia di Catania, che lui tra l’altro ha amministrato in tempi d’oro e con le casse piene. Per Musumeci, invece, la Sicilia è un’ampia provincia. C’è però una differenza enorme tra una Provincia e una Regione”.
Quale?
“La Provincia si amministra. La Regione si governa. Amministrare è la cosa più semplice del mondo. Governare è un’altra cosa. E questo è il governo meno governo che io abbia visto negli ultimi 18 anni”.