E se trasformassimo l’ippodromo in un grande centro di ippoterapia, mantenendo inalterati i livelli occupazionali e salvando una struttura che è patrimonio della città?
Il tempo è galantuomo ma sa far danni più della grandine, quando scorre inesorabile su strade lastricate di carte bollate e deserte come l’ultimo dei bandi impossibili.
All’ippodromo di Palermo i danni quasi non si calcolano più. Furti di rame si mescolano all’abbandono, alla cupezza giallastra delle erbacce e alla rabbia nera di chi impreca contro il governo ladro, il prefetto cattivo e il Comune inerte. Sono le voci imprecanti dei lavoratori senza più un lavoro, vittime, anche loro, della mafia e dei suoi lunghi, viscidi tentacoli. Quella cantata (sul palco, ci mancherebbe) dalla nipotina dello zio Franco; quella osannata più della stessa madonna potata in processione sotto il balcone del padrino; quella che ancora infesta d’anti-sbirritudine e spalle ingessate borgate e colletti bianchi; quella arruffianata al telefono da una ex gloria che ancora facciamo scendere in campo accogliendola in un boato assordante; quella inneggiata in gadget e t-shirt, a ragion veduta detestate da Rita Dalla Chiesa; quella su cui si sono costruite false carriere e anche qualche finto eroe; quella che continua a mettere oniriche teste di cavallo sui letti insonni di chi piange una terra dove non cresce erba ne’ lavoro. Quella che decideva pure se un cavallo, oltre che acefalo all’occorrenza, dovesse essere zoppo o vincente.
E l’ippodromo di Palermo resta lì, chiuso come le chiese quando ti vuoi confessare, tempio sconsacrato di una città scordata da Dio. E dalla politica.
Già, la politica. Quella che per una volta potrebbe dare il meglio di se’ nei fatti, ricordandoci, tutti quanti, che fatti non siamo per viver come bruti ma per servire virtù.
Se per una volta le istituzioni si mettessero tutte attorno a un tavolo e trasformassero quel tempio in un polivalente presidio d’avanguardia! Sarebbe una prova di vera virtù da parte di tutta la classe dirigente di casa nostra; e sarebbe uno schiaffo “bello forte” dato in faccia a Cosa nostra.
Una mega struttura pubblica di ippoterapia, dedicata (intitolarla non si può e comunque porta iella) al lavoro di un magistrato che è vivo, vegeto e ancora in lotta contro la mafia, a Nino Di Matteo: un modo per dirgli di andare avanti senza paura, perché con lui c’è la città.