PALERMO – Quattordici anni ciascuno di carcere. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna di Salvatrice Spataro e dei figli Mario e Vittorio Ferrera.
Sono gli autori dell’omicidio di Pietro Ferrera, 49 anni, ucciso l’anno scorso con 33 coltellate in un appartamento di via Falsomiele, a Palermo. Fu un omicidio volontario, ma il pm Giulia Beux ritiene che agli imputati vadano riconosciute le attenuanti generiche come equivalenti alle aggravanti. Partendo da una richiesta di 21 anni, si arriva a 14 in virtù dello sconto di un terzo previsto per chi sceglie il rito abbreviato.
Il primo colpo fu inferto dalla moglie Salvatrice Spataro, poi sono intervenuti i due figli Mario e Vittorio, anche loro armati di grossi coltelli da cucina. Il marito e padre non ebbe scampo.
Secondo la confessione degli stessi autori del delitto, la donna era stata chiamata dal marito in camera da letto. Voleva avere un rapporto sessuale, lo pretendeva come accadeva sempre, nonostante il rifiuto della donna. La moglie, una volta entrata in stanza, mentre il marito era disteso e di spalle, lo colpì al collo.
I figli sentirono le urla e si precipitarono nella stanza armati pure loro di grossi coltelli da cucina. Dissero che volevano soltanto difendere la madre. Pietro Ferrera tentò una reazione, aveva ferite alle braccia e alle mani, oltre a quelle nel collo e al torace.
Nessun dubbio. Secondo il pm, non si trattò di legittima difesa, ma un gesto intenzionale. Lo dimostra la “micidialità” delle armi, il numero dei colpi, la forza e la determinazione con cui furono inferti, il fatto che la vittima fui accoltellata anche quando era già per terra e non poteva più reagire.
Alla madre e ai figli, secondo il pm, vanno comunque riconosciute le attenuanti generiche. Salvatrice Spataro, 46 anni, Mario e Vittorio Ferrera di 21 e 21, lavoratori diligenti e rispettabili, tutti incensurati, uccisero Pietro Ferrera per via di “un crescente stato di angoscia” che ha alimentato “rabbia, odio ed esasperazione”. A tutto ciò si aggiunge la paura che scaturiva dal fatto che all’indomani del delitto la moglie avrebbe dovuto formalizzare la denuncia contro il marito.
Qualche settimana fa Salvatrice Spataro ha scritto al giudice. “Non è semplice raccontare cosa è stata la mia vita in ventitré anni di matrimonio…”, era l’incipit della memoria difensiva in cui ha ripercorso anni di soprusi, minacce, violenze e umiliazioni. In quella casa si viveva nel terrore. Adesso la parola passa agli avvocati Giovanni Castronovo e Simona La Verde per le arringhe difensive. Poi la sentenza.