PALERMO – Un componente della famiglia Graviano che denunciava di essere vittima truffa e che si era costituisce parte civile. Strano? Forse, sicuramente vero. L’accusa, però non ha retto. Il giudice Nicola Aiello ha assolto gli imputati Vincenzo e Pietro Di Matteo con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Non raggirarono Nunzia Graviano che nel 2012 gli aveva affittato un magazzino in via Conte Federico. “Vicino piazza San Gaetano”, aveva spiegato la donna in aula. È lo stesso santo cui è intitolata la parrocchia dove padre Pino Puglisi curava le anime del malandato rione Brancaccio e i fratelli di Nunzia, gli stragisti Giuseppe e Filippo, condannarono a morte.
Resterà per sempre a picciridda di casa, ma bambina Nunzia Graviano non lo è più. Qualche mese fa, ormai più che cinquantenne, era tornata in aula in una veste nuova. Non da imputata, come nel passato, ma come parte offesa di una truffa che lei stessa ha denunciato.
Vincenzo e Pietro Di Matteo presero in affitto il magazzino dei Graviano, vi impiantarono uno studio dentistico senza avere i titoli professionali per farlo e non pagarono più l’affitto dopo avere onorato gli impegni per anni.
“Ho avuto un danno economico”, diceva Nunzia Graviano davanti al giudice Aiello rispondendo alle domande del suo legale, l’avvocato Giuseppina Potenzano. e aggiunse: “Non pagavano l’affitto ed è partita la procedura per lo sfratto, poi sono venuta a conoscenza che Di Matteo ha fatto una denuncia”.
Ad un certo punto, infatti, i carabinieri misero sotto sequestro l’immobile al pianterreno di una palazzina. Quando Di Matteo vide che stavano portando via mobili e attrezzatura pensò che volessero rubarli. Ed invece la sorella dei boss era stata autorizzata dal giudice civile a riprendere possesso dell’immobile.
In realtà Nunzia Graviano ha seguito tutta la vicenda a distanza. Oltre alla condanna per mafia, infatti, le era stato imposto il divieto di dimora a Palermo ed infatti viveva a Roma, quartiere Parioli. Si era affidato ad un suo uomo di fiducia per riscuotere gli affitti che ad un certo punto non furono più pagati.
I Di Matteo, assistiti dagli avvocati Cinzia Todaro, Tommaso De Lisi e Maurizio Savarese, hanno sostenuto che non avevano più pagato perché nel frattempo il laboratorio era stato sequestrato. “Non ne ero stata informata”, spiegò Graviano. Da qui l’accusa di truffa che non ha retto.
I legali avevano inoltre sostenuto che sarebbe stata la madre di Graviano la vera proprietaria dell’immobile. Dunque Nunzia non avrebbe avito alcun diritto a rivendicare il danno subito.