Vincino, se dovesse oggi disegnare una vignetta su Raffaele Lombardo per il Corriere della Sera o per Il Foglio, per caso lo rappresenterebbe come un equilibrista in bilico sopra un filo?
“Casomai sotto a un filo, mentre cerca di aggrapparsi. È il più abile tra quelli rimasti della vecchia casse politica, che sa come rimanere in piedi”.
Tanto da formare quattro governi in due anni.
“Infatti. Ormai è un collezionista. Di questo passo andrà nel guinness dei primati”.
Rispolveriamo per un attimo il gattopardismo?
“È un disastro che questa Sicilia produca questi scarti democristiani che si protraggono nel tempo”.
Allora proviamo col milazzismo.
“Milazzo aveva una sua nobiltà, che questi tentativi odierni non hanno. Il problema è che non c’è stata una stagione nuova”.
Quindi è stato proprio tutto da buttare?
“No, in due momenti storici c’è stata la possibilità di cambiare le cose, ma poi tutto è fallito. Una è stata la Primavera di Palermo, con Leoluca Orlando; e poi forse anche nel 1994, agli albori della seconda Repubblica. Invece sono ritornate le vecchie famiglie, con i vecchi nomi e il vecchio modo di fare politica”.
E in tutto questo, l’esperienza di Lombardo?
“Solo una cosa salvo: il suo l’assessore alla Sanità. Non a caso Russo viene da un’esperienza non politica, con la sua carriera nella magistratura”.
Allora ben vengano i tecnici?
“Per niente. Non vedo un progetto, soprattutto negli uomini e nei partiti che fanno parte di questa coalizione. Partendo dall’Mpa, passando ai finiani, e non dimenticando lo stesso Pd”.
Qualche speranza rimane?
“Sono pessimista, anche se estremamente fiducioso nella Sicilia e nei siciliani, nelle loro potenzialità. Ribadisco che l’unica speranza la vedo in Massimo Russo. Lui sì che ha saputo operare il risanamento, andando sempre dritto per la sua strada. Ecco, forse quello di Russo sarebbe il nome giusto per la prossima presidenza della Regione”.
Sì, ma con quale schieramento?
“Potrebbe superare le coalizioni, anche perché le parti in campo sono equivalenti”.