CATANIA. Sono stati i collaboratori di giustizia Alessandro Isaia e Mario Sciacca, in collegamento video, i testimoni di spicco del processo sulle presunte tentate estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, ai danni di medici e titolari di cooperative all’ospedale Santa Marta e Santa Venera di Acireale. Decisivo per la solidità dell’impianto accusatorio dimostrare la sussistenza dell’aggravante dell’ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991 e quindi l’appartenenza degli imputati principali al clan Santapaola Ercolano. Alla sbarra Camillo Brancato, Stefano Sciuto, Calogero Polisano, Cirino Cannavò, Vincenzo Brancato e Giuseppe e Salvatore Costa, accusati a vario titolo di estorsione e violenza privata.
Durante l’esame del pubblico ministero Alessandro Sorrentino, il teste Alessandro Isaia, imputato di un reato connesso e quindi assistito dal proprio difensore di fiducia, ha confermato la propria appartenenza, fino al 2007, al clan Santapaola Ercolano e più nello specifico al gruppo di Picanello – Ognina di Catania. Rapine, estorsioni e traffico di droga le attività svolte per il sodalizio. L’uomo ha confermato di conoscere bene alcuni soggetti appartenenti al gruppo di Acireale e Aci Catena. Tra essi gli imputati Camillo Brancato, Stefano Sciuto, figlio del boss Sebastiano, detto Nuccio Coscia, e Calogero Polisano. “Ci vedevamo spesso ad Acireale al bar di fronte al Duomo oppure al chiosco di Corso Savoia”, ha detto in aula. Brancato, sempre secondo il racconto del testimone, si sarebbe occupato di estorsioni, droga, rapine e armi. Con lui avrebbe concluso alcune compravendite di cocaina.
Subito dopo le parole di Isaia, Camillo Brancato ha chiesto di prendere la parola per rilasciare alcune dichiarazioni spontanee. L’imputato ha riferito di non aver mai conosciuto il collaboratore di giustizia. “Dal 2005 – ha detto – sono perseguitato da questo signore”.
Ma il racconto più dettagliato è stato quello fornito da Mario Sciacca, appartenente al gruppo acese dei Santapaola Ercolano dal 2006 al 2008. A guidare il gruppo c’era Carmelo Pavone, detto Melo l’Africano. L’uomo ha riferito, su richiesta del pm, di aver frequentato alcuni degli imputati. Con Stefano Sciuto ed un altro catanese avrebbe commesso, tra il 2006 ed il 2007, un colpo ai danni di un istituto bancario di Giarre, nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria. Sciuto si sarebbe occupato anche dello spaccio di cocaina e marijuana. Camillo Brancato, ha detto Sciacca, avrebbe operato per conto di Antonino Patanè, soprannominato Nino Coca Cola, al vertice del gruppo di Aci Catena. Il teste ha riferito di conoscere bene l’imputato poiché zio di una sua ex convivente. Anche con Calogero Polisano, altro affiliato, vi sarebbe stato un legame di amicizia poiché residenti entrambi nello stesso quartiere ad Acireale.
Terzo ed ultimo testimone è stato Massimo Sicilia, titolare dell’associazione Sicilia Emergenza One, operante nel sociale. Sovente i volontari, chiamati ad intervenire all’ospedale Santa Marta e Santa Venera per compiere trasporti di pazienti, avrebbero subito minacce e pressioni da persone legate all’associazione “Il Gabbiano”, riconducibile ai fratelli Giuseppe e Salvatore Costa. Il teste ha detto però di non essere a conoscenza di chi rivolgesse tali minacce. Per questo il pm Sorrentino ha chiesto all’uomo di recuperare l’elenco dei volontari impegnati in quegli anni nell’associazione. Potrebbero essere chiamati a testimoniare. Intanto nella prossima udienza, fissata al carcere di Bicocca per il 19 settembre, attesa testimonianza di Giacinto Maggio, titolare di un’altra associazione impegnata nel trasporto da e verso il nosocomio acese. Nella stessa udienza previsto anche l’esame degli imputati.