RIPOSTO – Il gup di Catania Daniela Monaco Crea ha rinviato a giudizio Gaetano Di Fato, architetto dell’ufficio tecnico comunale ripostese, e Giuseppe D’Agata, più noto con l’appellativo di Don Pippo. Entrambi sono accusati di aver estorto denaro all’imprenditore impegnato nei lavori di ristrutturazione del Museo del Vino, edificio di proprietà comunale in via Di Maio. Il pubblico ministero Alessandro Sorrentino aveva chiesto al giudice, alla luce del quadro probatorio, il rinvio a giudizio per entrambi gli imputati. Richiesta reiterata anche dai legali di parte civile, le tre associazioni antiracket ammesse e la parte offesa. Per l’avvocato di quest’ultimo, Giovanni Li Destri, Di Fato in veste di pubblico ufficiale avrebbe dovuto denunciare e non agevolare l’estorsione.
Di tutt’altro avviso il collegio difensivo formato da Giovanni Grasso e Attilio Floresta, per Gaetano Di Fato, e da Enzo Iofrida, per Giuseppe D’Agata. Per i difensori di fiducia del funzionario ripostese, l’attività investigativa condotta dai carabinieri metterebbe a nudo la volontà della parte offesa di travolgere Di Fato, tecnico comunale non compiacente, che avrebbe rifiutato una perizia di variante proposta dall’imprenditore in difficoltà per un appalto ottenuto con un ribasso ai limiti della sostenibilità. Ingiustificata, inoltre, per la difesa l’aggravante del metodo mafioso. Anche per l’avvocato Iofrida l’estorsione sarebbe inesistente. Il proprio assistito, inoltre, 70enne incensurato e malato, sarebbe assolutamente lontano dall’essere a capo di una consorteria locale. Il processo si aprirà l’8 novembre davanti alla prima sezione penale del tribunale di Catania. Il comune di Riposto finora non si è costituito parte civile nel processo.
L’INCHIESTA. E’ il maggio dello scorso anno quando i carabinieri dell’Aliquota Operativa della Compagnia di Giarre arrestano in flagranza di reato Gaetano Di Fato, tecnico comunale, e Giuseppe D’Agata. I militari li bloccano subito dopo aver intascato una mazzetta di 350 euro da un imprenditore edile che ha in appalto i lavori di restyling di un edificio pubblico. L’inchiesta, avviata un mese prima, avrebbe evidenziato, secondo l’accusa il tentativo, di imposizione della cosiddetta “guardiania”. Sarebbe stato il funzionario, per la Procura di Catania, a suggerire all’imprenditore di avvalersi della collaborazione di Giuseppe D’Agata per proteggere il cantiere.