Il defunto vescovo di Monreale Cataldo Naro, insigne storico e profondo conoscitore della Sicilia e dei siciliani, non amava parlare di “antimafia” perché, a suo dire, fenomeni come quello mafioso non si combattono esclusivamente con la repressione, che pure è necessaria, ma esigono qualcosa di diverso e originale che il vescovo Naro chiamava piuttosto “resistenza alla mafia”. Il concetto di resistenza alla mafia è alternativo ad una certa accezione elitaria del termine “antimafia”, proprio perché assume una valenza fortemente popolare: è nel momento in cui il popolo si riconosce impregnato e contaminato dal fenomeno mafioso che riesce a trovare la forza non soltanto di resistere ma anche di liberarsi dalla mafia.
Cataldo Naro mutuò l’idea della resistenza da Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante tedesco che morì impiccato in un campo di concentramento nazista nel 1945, e la intendeva essenzialmente come resistenza al male e resa a Dio, una resistenza e una resa che Naro vedeva totalmente realizzate nella figura di don Pino Puglisi, il piccolo prete palermitano che pur sapendo di andare incontro alla morte non si arrese di fronte al male, ma si arrese solo di fronte a Dio che gli chiedeva per il suo popolo amato anche il sacrificio della vita. In tempi difficili come i nostri in cui l’antimafia è compito per pochi paladini coraggiosi e rimane troppo spesso solo un concetto abusato dalla retorica delle celebrazioni e delle commemorazioni, riscoprire l’intensità della “resistenza alla mafia” e la sua connotazione prettamente popolare significa riconsegnare alla comunità civile la bellezza della legalità e fare di tutto perché la società sia impregnata di una cultura della legalità.
Legalità, ricordava Cataldo Naro in suo celebre articolo, è osservare le leggi al fine di poter vivere ordinatamente. Per diffondere la cultura della legalità è necessaria una vasta opera di educazione, una lotta senza quartiere all’ignoranza che rappresenta il terreno fertile per l’affermarsi di fenomeni deleteri come quello mafioso. Si potrebbe pensare in questo modo ad un’antimafia diversa che non è più l’ingrato compito di pochi, ma è un sentimento popolare, una responsabilità che tocca tutti e ciascuno, che si apprende in famiglia e a scuola e trova conferme nel vissuto quotidiano, nel posto di lavoro, nell’economa e nella politica. Solo con questo tipo di impegno si può coltivare la speranza che a questa resistenza corrisponda presto una piena e definitiva liberazione.