Paolo Borsellino era un uomo meraviglioso. Era un buon padre di famiglia e basta conoscere i suoi figli per rendersi conto dell’impronta dolce e profonda che ha lasciato. Era un marito innamorato e premuroso, Aveva, certo, i difetti che perfino i grandi uomini subiscono e l’altare post-mortem che gli hanno riservato è forse il modo più sicuro per banalizzare un’esistenza tanto ricca e utile.
A diciassette anni dalla sua morte atroce, avvertiamo che la ferita non è stata rimarginata. L’avvertiamo noi, i siciliani buoni. Noi che non amiamo le bandiere e i pifferi degli anniversari di Stato. Noi che abbiamo conservato per Paolo, per Agostino Catalano, per Walter Eddie Cosina, per Emanuela Loi, per Vincenzo Li Muli e per Claudio Traina un piccolo altarino di affetto nel punto più luminoso del nostro cuore. E ogni volta affrontiamo con un pizzico di disagio l’epopea del 19 luglio – come quella del 23 maggio – perché percepiamo la dissolvenza di Paolo Borsellino, il suo progressivo allontanamento dagli occhi della gente e dall’orizzonte visivo delle istituzioni.
Intendiamoci, il meccanismo obbligatorio del ricordo non è sempre un male. Ci sono generazioni di ragazzini che – sia pure con mille innocenti storture – hanno imparato a familiarizzare con le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino grazie alla sacra rappresentazione che, annualmente, viene incardinata nel calendario dei martiri. Né possiamo escludere che ci sia tanta buona volontà e altrettanta passione alla base della liturgia della memoria. Ma, intorno, c’è una Sicilia più cattiva, più cinica e più disperata. Una Sicilia sommamente disonesta nei suoi comportamenti pubblici e privati. Intorno c’è un mondo che alza le fiaccole per Borsellino ma che poi mostra la carta di identità di Vito Ciancimino e ne va fiero. L’abbiamo forse scordato quello slogan brutale eppure sincero: meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino.
I conti non tornano. Celebriamo Giovanni e Paolo, però non stiamo dalla loro parte. Non esiste più una dimensione collettiva di riflessione su quegli anni, sulla loro eredità e sulla nostra dimensione attuale. Non esiste un’opinione generale di riferimento, sia pure per contrasto. Ognuno si fabbrica da solo i suoi parametri, col Lego che raccatta, nel chiuso della sua casa. Politici condannati e discutibilissimi governano le nostre vite. Una città come Palermo sta conoscendo anni tristi di cattiva amministrazione. E’ questo accade senza che si sollevi una voce, un dito, un alito di vento. Allora dobbiamo proprio dircelo: Paolo Borsellino non era come noi, siciliani cattivi, o siciliani buoni e inerti. Lui lottava per cambiare la parte orribile di ciò che amava.
Celebriamolo pure con amore e con rispetto. Non scordiamoci del giudice Paolo Borsellino, uomo, padre e marito. Ma non limitiamoci a una messa privata sull’altare del nostro cuore. Le messe si dicono per i morti. E l’esempio di Paolo è vivo.
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