CATANIA – “Sì ma le femmine lì sono pericolose… comandano più dei maschi”. La frase del pentito Sebastiano Sardo, ex narcotrafficante catanese, è la sintesi plastica del ruolo di primo piano che avrebbero le donne all’interno del clan etneo Cappello-Bonaccorsi. Mogli, figlie e suocere capaci di gestire gli affari “di famiglia” sia in sostituzione del boss in carcere, ma anche in supporto del marito a piede libero. Nel blitz Camaleonte, che ieri ha disarticolato la potente cosca catanese, sono finite in manette diverse “femmine pericolose”.
Le donne della “famiglia” Strano
Le donne della famiglia Strano sono tutte nei guai. Nessuna esclusa. Anna Russo è la consorte del ‘camaleonte’ Mario Strano. Concetta Strano è la figlia del boss e la sposa di Luigi Scuderi, altro indagato chiave della retata di ieri. Infine Pina Russo è la moglie di Salvatore Culletta, personaggio di riferimento del gruppo che vede ai vertici proprio Mario Strano. Le “femmine” di casa Strano sarebbero – a parere del gip – “consapevoli tenutarie della cassa comune”. E inoltre avrebbero “competenze” in merito ai flussi finanziari “in entrata e in uscita” dell’organizzazione criminale. Sono molteplici le intercettazioni da dove emergerebbe il ruolo di primo piano nella gestione degli affari illeciti anche nel traffico di droga con l’isola di Malta. Ed è ancora il pentito Sebastiano Sardo a fornire un ulteriore riscontro di questa “veste criminale” delle tre donne: “Quando lui (Salvatore Culletta, ndr) partiva… io andavo a casa di Mario ‘acchiana e scinni’ (questo il nomignolo criminale di Strano, ndr), me la sbrigavo con la moglie e con la figlio di Mario… gli davo i soldi… parlavo con loro… con Concetta e con Anna… io ci andavo e gli portavo i soldi che gli dovevo dare… cinquantamila… centomila… mi sedevo, li contavamo e glieli davo…”. Il pm chiede al pentito: Ma loro lo sapevano che cosa erano? Sardo è cristallino: “Certo, loro mi chiamavano apposta perché gli servivano i soldi per il carico…”. Per il gip non ci sono dubbi: le tre indagate sarebbero “perfettamente inserite nelle dinamiche” del clan.
La moglie del boss
Rosaria Rapisarda (chiamata Alessandra) è invece la consorte del boss Massimiliano Salvo, ritenuto ai vertici del clan Cappello. Per il gip di Catania la donna avrebbe assolto la “funzione di tramite fra il marito e i sodali liberi”. In particolare la signora si sarebbe interessata “personalmente” affinché le direttive del suo sposo, da anni recluso al 41bis, fossero “rispettate” dal clan. L’interlocutore principale della moglie di Salvo è Luca Santoro, delfino del boss dei Cappello. C’è un momento in cui Alessandra Rapisarda perde la pazienza. Ci sarebbe stato un ritardo nell’invio dei soldi al suocero Giuseppe Salvo, anch’egli esponente storico della mafia catanese e detenuto da diversi anni. La donna va direttamente a lamentarsi a casa di Santoro: “Ha telefonato mio suocero, si ci deve fare il vaglia”. I toni della conversazioni si fanno più accesi: “… Luca ascoltami un attimo, per mio suocero c’è una cosa sistemata per mille euro al mese”. La donna usa un tono perentorio, da capo, quando in ballo ci sono i soldi che spettano a lei dalla compravendita di un’auto: “Luca ascolta io ti sto dicendo una parola… se non vuoi che faccio cose da pazzi, o mi fai avere i soldi della macchina oppure me ne scendo là sotto e faccio un macello”. Parola di “femmina pericolosa”.