PALERMO – Mostravano il volto aggressivo di Cosa nostra, affrontando le vittime a muso duro. Le nuove leve del mandamento di San Mauro Castelverde avevano il compito di ribadire la presenza sul territorio dei boss “e lo facevano con spregiudicatezza, nonostante lo stato di detenzione e le condanne dei membri di maggiore spicco”, si legge nel decreto di fermo firmato dall’aggiunto Salvo De Luca e dai sostituti Bruno Brucoli e Gaspare Spedale della Direzione distrettuale antimafia. Undici i fermati, undici i commercianti finiti nel mirino del clan che avrebbe seminato la paura tra gli imprenditori della provincia, tra i quali c’è chi ha deciso di non abbassare la testa alle richieste di pizzo.
Farinella e il suo ‘braccio destro’
Tra questi, Francesco Lena, titolare dell’Abbazia Santa Anastasia: sarebbe stato il figlio di Mico Farinella, Giuseppe, ad avanzare la richiesta estorsiva, Lena lo ha allontanato in maniera energica, e poi si è rivolto ai carabinieri. Il giovane Farinella, nipote dello storico e omonimo capomafia, a soli 27 anni, si sarebbe mosso insieme agli storici boss ancora a piede libero – come Gioacchino Spinnato – e al suo ‘braccio destro’, Giuseppe Scialabba. Ma secondo quanto è emerso dalle indagini, anche Francesco Rizzuto e Antonio Alberti sarebbero stati parte attiva delle estorsioni. Come quella ai danni del titolare di alcuni cantieri, portata avanti proprio da Alberti, che alla vittima chiese 20 mila euro per conto del mandamento di San Mauro Castelverde. Denaro che era stato incassato da Pietro Ippolito – anche lui tra i fermati di oggi – che lo avrebbe trattenuto per sé, provocando la reazione di Scialabba, Spinnato, Farinella e Rizzuto, che lo hanno poi costretto a consegnare la somma.
Le intercettazioni
In questa occasione, le intercettazioni hanno svelato ancora una volta l’indole violenta del clan: “Minchia quando mi ha visto è diventato in faccia come il colore di questa macchina…grigio…vero può essere…io ho detto…quando doveva aprire il cofano, dissi…ma che deve prendere…era tutto impappinato, non sapeva cosa dire“, diceva Scialabba a Farinella. Ma le estorsioni del mandamento di San Mauro Castelverde si muovevano anche con l’imposizione delle forniture. E’ il caso della vicenda che riguarda il titolare di un ristorante a Finale di Pollina, che avrebbe dovuto acquistare solo pesce, visto che non si riforniva nella macelleria di Scialabba. E fu proprio quest’ultimo, come ha raccontato lo stesso imprenditore agli inquirenti, ad avvicinarlo davanti alla propria attività.
Le minacce al ristoratore
“Con tono minaccioso mi ha detto ‘tu devi vendere solo pesce’. Ho risposto che avendo un ristorante, potevo vendere ciò che volevo e lui mi ha chiesto dove acquistavo la carne, in quanto, essendo una persona che non mi piace, non la compro da lui. Gli ho spiegato che l’acquistavo dagli amici e anche al macello di Gangi. A quel punto gli ho detto che me ne sarei entrato nel mio ristorante e lui, invece, mi voleva trattenere fuori dicendomi ‘vieni qua che dobbiamo finire di parlare’, ma io ho proseguito verso il ristorante e Scialabba mi ha detto ‘che fai il malandrino?ì Io, senza nemmeno dargli adito, sono entrato definitivamente”.
L’aggressione fisica
Ma le richieste non si fermavano e la pressione psicologica diventava sempre più forte “al punto da cambiare le abitudini quotidiane del ristoratore”, sottolineano gli inquirenti. Scialabba si sarebbe infatti recato più volte dal ristoratore per vietargli di vendere la carne e, di fronte all’ennesimo ‘no’, è anche esplosa la violenza, così come dimostrano le aggressioni avvenute nel novembre del 2018 e nel giugno dello scorso anno, quando l’imprenditore ha riportato lesioni al viso e al petto.
La tentata estorsione al lido
Scialabba e Farinella avrebbero preso di mira anche il titolare di un lido balneare a Finale di Pollina. Un tentativo di estorsione raccontato per filo e per segno dalla vittima agli inquirenti: sin da subito aveva deciso di opporsi alle richieste di pizzo del mandamento mafioso. “Mentre ero in attesa di due rappresentanti – ha riferito – i miei dipendenti mi hanno avvisato che stavano arrivando due persone. Pensando fossero quelle che stavo aspettando, gli sono andato incontro. Ci siamo avviati verso il bar, uno dei due mi ha preso per il braccio come per volermi portare in luogo più appartato e mi ha detto ‘andiamo a vedere il mare’. Avendo intuito che le loro intenzioni non erano solo quelle di una consumazione al bar ho tolto subito il braccio e gli ho detto che non volevo allontanarmi con lui. A tal punto uno dei due, con tono minaccioso e facendo intendere di essere un boss della zona, mi ha detto ‘Se hai bisogno di qualcosa sai a chi puoi rivolgerti. Questa è una zona tranquilla e noi ci teniamo che sia una zona tranquilla’. A quel punto ho detto che avevo una convenzione col Comuune e mi è stato risposto ‘Qui stai sbagliando, io sono un amico di Palermo, sai a chi devi rivolgerti‘. Insomma, il messaggio era stato chiaro, ma l’imprenditore non si fece intimorire.
Ammonta invece a 20 mila euro l’estorsione ai danni dei titolari di un agriturismo: gli investigatori hanno accertato che in questo caso l’ordine era arrivato ‘dall’alto’, ovvero, direttamente da Mico Farinella, ex ergastolano che in seguito al blitz torna in carcere. Il figlio Giuseppe aveva cercato in tutti i modi di mettersi in contatto con la vittima per riscuotere la somma, ma ci era riuscito successivamente, con l’intervento di Scialabba, considerato dagli inquirenti tra i componenti più violenti del clan.
“Scialabba, il più violento”
Come nel caso dell’intimidazione nei confronti di un venditore ambulante di Cefalù, che avrebbe dovuto cambiare zona per “non fare concorrenza” ad un altro commerciante che pagava il pizzo. Prima erano arrivate le minacce, poi l’aggressione fisica. Scialabba lo aveva raggiunto e spintonato insieme al fruttivendolo che avrebbe dovuto ‘favorire’. Poi lo aveva colpito con una testata.