CINISI (PALERMO)– La strada verso casa di Cristina e Giuseppe è circondata da un mare dolcissimo che luccica sullo sfondo. In mare è morto Giuseppe Lo Iacono, marito, padre e pescatore, sul peschereccio ‘Nuova Iside’ scomparso al largo di San Vito Lo Capo. In mare si sono inabissati gli altri membri dell’equipaggio, Matteo Lo Iacono e suo figlio, Vito Lo Iacono, il capitano. Il corpo di Vito è ancora laggiù nelle profondità e aspetta un recupero del relitto fin qui caldamente auspicato e freddamente sospeso, nonostante le richieste pressanti dei familiari assistiti dall’avvocato Aldo Ruffino.
Perché il ‘Nuova Iside’ è affondato, portando con sé i suoi marinai? L’idea della Procura di Palermo che ha aperto un’inchiesta è che ci sia stata una collisione. L’altra imbarcazione coinvolta nella storia, la petroliera Vulcanello, secondo la cronaca fin qui disponibile e le accuse dei pm, sarebbe stata riverniciata dopo il presunto incidente: è l’ipotesi focale su cui si stanno concentrando le indagini in una fase importantissima.
Casa di Cristina e Giuseppe è come immersa nella condensa di un amore improvvisamente raggelato. Quattro figli. Macchinine per bambini al piano terra. Il più piccolo che dorme sul divano. Ovunque, sulle pareti, le foto della felicità.
“Con mio marito ci siamo sposati giovani che avevamo già il nostro primo figlio. Il piccolo ha fatto da paggetto al nostro matrimonio – racconta Cristina -. Ci amiamo da impazzire. Si è dichiarato, da ragazzo Peppe, mentre eravamo su una canoa. Era un pescatore nato. Pure in quella occasione è stato diretto, affettuoso e allegro. Era tenero. Mi ha chiesto: ‘Ci possiamo fidanzare?’. Gli ho risposto di sì. Giuseppe era solare, sapeva fare tutto: cucinare, per esempio. Che mangiate di pesce… Era lui che, nei momenti difficili che non mancano mai, mi tirava su”.
Cristina continua: “Quella notte è andato via alle tre. Mi sono svegliata. Gli ho preparato il caffè, qui, in cucina, dove siamo noi. Il giorno precedente alla tragedia ci siamo sentiti, abbiamo parlato. Non sapeva stare senza telefonarmi o mandarmi un sms. L’ho chiamato la sera, per l’ultima volta. Mi ha detto che stava per addormentarsi, che era stanco e che ci saremmo rivisti presto…”. Era già l’addio.
Cristina è una persona cortese. Versa un bicchiere d’acqua. “Hanno ripescato il corpo – la voce, adesso, è un filo tesissimo -. L’ho visto. Non volevano che mi avvicinassi. Mi sono fatta largo. Era sempre Giuseppe, con il suo sorriso. Aveva i segni di uno che ha lottato. Sono convinta che, se ci fosse stato qualcuno nei paraggi, si sarebbe salvato e si sarebbero salvati pure Matteo e Vito. Io non sono un magistrato, aspetto verità e giustizia. Non anticipo le sentenze, ma mi provoca dolore anche il solo pensiero che qualcuno potesse essere lì e che non si sia fermato. Spero che si faccia luce sull’accaduto”.
Aveva avuto un presentimento, Cristina: “La mattina nessun segnale. Né un messaggio, né una chiamata. Ecco perché ho subito pensato al peggio. Purtroppo, ho avuto ragione”. Ora, nella cucina, Giuseppe non c’è più. Ci sono le sue foto accanto alla macchinetta del caffè. Le ultime parole sono un soffio: “La gente di Cinisi e Terrasini ci sta aiutando. Grazie a tutti”.
Al ritorno, di nuovo quel mare dolcissimo e tremendo. Un messaggio sul cellulare. E’ ancora Cristina, giovane e coraggiosa vedova: “Voglio che tutti sappiano che il mio Peppe era un marito speciale, io e lui eravamo una cosa sola, la nostra era una grande storia d’amore, e che era un papà straordinario. Non faceva mancare nulla ai suoi figli, come dicono loro: “‘il papà migliore del mondo'”. Segue un cuoricino rosso.
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