Un imputato condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia deve automaticamente finire in carcere? Finora è stato così, ma adesso dovrà essere la Corte costituzionale a pronunciarsi colmando di fatto un vuoto normativo.
Ad aprire la breccia sono stati due penalisti, gli avvocati Fabio Calderone e Giuliano Dominici, il primo del foro di Palermo e il secondo di Roma, che assistono Marco Lipari condannato a tre anni e mezzo per avere aiutato durante la latitanza il capomafia di Altofonte, Domenico Raccuglia. Le Sezioni unite penali della corte di Cassazione hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art 275 comma III del codice di procedura penale nella parte in cui stabilisce “l’obbligatorietà della custodia in carcere per i soggetti indagati o imputati dei delitti commessi al fine di agevolare l’attività di Cosa nostra”. Nel ricorso i due legali hanno sostenuto che la norma viola il criterio di ragionevolezza e il principio di uguaglianza. In pratica, non si può trattare alla stessa maniera un imputato condannato per mafia e un altro colpevole di averlo favorito.
“Si tratta di una pronuncia innovativa – spiega l’avvocato Calderone – perché consente di poter riconsiderare la misura cautelare carceraria disposta nei confronti di tanti soggetti che, non ritenuti intranei ad un associazione mafiosa, per il solo fine di averla agevolata non potevano godere di un regime meno afflittivo”.